Quanto pubblicato oggi dal Secolo XIX conferma quanto denunciavano i cittadini di Pieve di Teco (sentendosi spesso trattati per paranoici). A tutti loro va il merito per non aver desistito e per aver dimostrato che ci si può opporre all’arroganza del potere.
La centrale avrebbe bruciato rifiuti
25 agosto 2009
Per ora si ipotizzano una serie di omissioni e di reati, tra cui la truffa alla Ue e il falso, reati he tuttavia non sono ancora definiti. Almeno non pubblicamente. Il riserbo è assoluto sulla vicenda.
È alla stretta finale l’inchiesta della procura della Repubblica sulla realizzazione (e sulle autorizzazioni amministrative) dell’ex centrale a biomasse di Pieve di Teco.
Sarebbero almeno cinque le persone iscritte nel registro degli indagati in merito alla delicata vicenda che sino al 2008 prevedeva la nascita di un impianto a “cogenerazione”, il cui finanziamento (3 milioni di euro dalla Ue) è stato definitivamente cancellato dalla Regione. Un effetto questo che ha fatto seguito alle proteste e alle manifestazioni degli abitanti, oltre che all’inchiesta giudiziaria.
L’ultimo atto, solo consultivo, ma di rilevante interesse, ricevuto dal sostituto procuratore Filippo Maffeo, che sta coordinando l’intera complessa inchiesta, è dei giorni scorsi.
I carabinieri della stazione di Cedegolo, un piccolo comune in provincia di Brescia al confine tra Lombardia e Trentino, hanno informato in una nota ora messa agli atti (tre voluminosi faldoni di indagine giudiziaria) che la centrale a biomasse realizzata nel loro territorio dalla stessa società madre (la Energy Recuperator con sito in rete) della Seava pievese, di fatto è una centrale “a cogenerazione” di Cdr, cioè a combustione di rifiuti, quelli umidi della non differenziata.
Insomma, niente produzione di energia dalla combustione del legno di scarto derivante da altre lavorazioni del legname (come era stato inizialmente prospettato e poi col tempo modificato anche a Pieve di Teco, e come il termine “biomasse” dovrebbe garantire), ma energia dall’immondizia, che è un “business” decisamente diverso, più remunerativo (oltre che più inquinante) rispetto ad altre “rinnovabili” fonti. In sostanza è un inceneritore, come sostenevano che fosse gli abitanti di Pieve di Teco.
Sulla scorta di tutti questi elementi il pm Maffeo sta per concludere l’indagine, circa due anni di lavoro. Per ora si ipotizzano una serie di omissioni e di reati, tra cui la truffa alla Ue e il falso, reati he tuttavia non sono ancora definiti. Almeno non pubblicamente. Il riserbo è assoluto sulla vicenda.
L’inchiesta comunque, seguita dai carabinieri di Pieve di Teco, da quelli di Imperia e dalla Guardia di Finanza, si fonderebbe su tre aspetti essenziali.
Il primo appunto è quello di aver presentato un progetto, poi approvato, di centrale a biomasse per lo sfruttamento di agroenergie e di aver di volta in volta mutato il profilo dell’impianto sino a trasformarlo di fatto in una centrale cosiddetta “a cogenerazione”. Il concetto ampio di biomassa avrebbe lasciato qualche “finestra aperta” a questo, ma certo alla magistratura imperiese la combustione di rifiuti appare differente nella sostanza.
Il secondo aspetto è quello del fine ultimo della centrale: il teleriscaldamento, cioè la realizzazione di condutture attraverso le quali far confluire il vapore prodotto dalla combustione per riscaldare abitazioni e altri insediamenti produttivi pievesi.
Dell’impianto inizialmente prospettato, stando agli accertamenti della magistratura, non esiste più traccia. Non viene neppure menzionato nel sito della Energy Recuperator s.r.l. dove alla centrale di Pieve di Teco è dedicata una sezione. Neppure sarebbero stati individuati o contattati i potenziali “customers” destinatari del servizio di teleriscaldamento. Tra l’altro a Pieve di Teco, gli impianti per la fornitura di energia per il riscaldamento, sono in convenzione (ventennale) tra il Comune e un gestore a quanto pare del gruppo Eni. Per cui l’ipotesi del teleriscaldamento avrebbe potuto costituire argomento di un contenzioso non da poco per la comunità.
Infine la produzione di energia elettrica da rivendere all’Enel. L’impianto inizialmente prevedeva una limitata potenza. A conclusione dell’iter la potenza “in vendita” sarebbe aumentata considerevolmente.