L’anno anniversario dei 150 anni dell’Unità d’Italia rischia di concludersi così. Così, come? Con una frattura profonda.
Sempre più e rapidamente, una parte crescente del popolo italiano si allontana da coloro che, in questo momento, sono chiamati a rappresentarlo e governarlo.
I segni del distacco sono inequivocabili, per ora e per fortuna tutti entro i limiti della legalità: elezioni amministrative che premiano candidati subìti dai giri consolidati della politica; referendum vinti, stravinti e da vincere nell’ostilità, nell’indifferenza o nell’ambiguità dei maggiori partiti; movimenti, associazioni, mobilitazioni spontanee espressione di passioni politiche e di esigenze di rinnovamento che chiedono rappresentanza contro l’immobilismo della politica.
Il dilemma è se alla frattura debbano subentrare la frustrazione, l’indifferenza, lo sterile dileggio, o l’insofferenza e la reazione violenta, com’è facile che avvenga in assenza di sbocchi; oppure, com’è più difficile ma necessario, se il bisogno di partecipazione e rappresentanza politica riesca a farsi largo nelle strutture sclerotizzate della politica del nostro Paese, bloccato da poteri autoreferenziali la cui ragion d’essere è il potere per il potere, spesso conquistato, mantenuto e accresciuto al limite o oltre il limite della legalità.
Si dice: il Governo ha pur tuttavia la fiducia del Parlamento e questo, intanto, basta ad assicurare la legalità democratica. Ma oggi avvertiamo che c’è una fiducia più profonda che deve essere ripristinata, la fiducia dei cittadini in un Parlamento in cui possano riconoscersi. Un Parlamento che, di fronte a fatti sotto ogni punto di vista ingiustificabili, alla manifesta incapacità di condurre il Paese in spirito di concordia fuori della presente crisi economica e sociale, al discredito dell’Italia presso le altre nazioni, non revoca la fiducia a questo governo, mentre il Paese è in subbuglio e in sofferenza nelle sue parti più deboli, non è forse esso stesso la prova che il rapporto di rappresentanza si è spezzato? Chi ci governa e chi lo sostiene, così sostenendo anche se stesso, vive ormai in un mondo lontano, anzi in un mondo alla rovescia rispetto a quello che dovrebbe rappresentare.
Noi proviamo scandalo per ciò che traspare dalle stanze del governo. Ma non è questo, forse, il peggio. Ci pare anche più gravemente offensivo del comune sentimento del pudore politico un Parlamento che, in maggioranza, continua a sostenerlo, al di là d’ogni dignità personale dei suoi membri che, per “non mollare” – come dicono –, sono disposti ad accecarsi di fronte alla lampante verità dei fatti e, con il voto, a trasformare il vero in falso e il falso in vero, e così non esitano a compromettere nel discredito, oltre a se stessi, anche le istituzioni parlamentari e, con esse, la stessa democrazia.
Sono, queste, parole che non avremmo voluto né pensare né dire. Ma non dobbiamo tacerle, consapevoli della gravità di ciò che diciamo. Il nodo da sciogliere per ricomporre la frattura tra il Paese e le sue istituzioni politiche non riguarda solo il Governo e il Presidente del Consiglio, ma anche il Parlamento, che deve essere ciò per cui esiste, il luogo prezioso e insostituibile della rappresentanza.
Dov’è la prudenza? In chi assiste passivamente, aspettando chissà quale deus ex machina e assistendo al degrado come se fossimo nella normalità democratica, oppure in chi, a tutti i livelli, nell’esercizio delle proprie funzioni e nell’adempimento delle proprie responsabilità, dentro e fuori le istituzioni, dentro e fuori i partiti, opera nell’unico modo che la democrazia prevede per sciogliere il nodo che la stringe: ridare al più presto la parola ai cittadini, affinché si esprimano in una leale competizione politica. Non per realizzare rivincite, ma per guardare più lontano, cioè a un Parlamento della Nazione, capace di discutere e dividersi ma anche di concordare e unirsi al di sopra d’interessi di persone, fazioni, giri di potere. Dunque, prima di tutto, ci si dia un onesto sistema elettorale, diverso da quello attuale, fatto apposta per ingannare gli elettori, facendoli credere sovrani, mentre sono sudditi.
Le celebrazioni dei 150 anni di unità hanno visto una straordinaria partecipazione popolare, che certamente ha assunto il significato dell’orgogliosa rivendicazione d’appartenenza a una società che vuole preservare la sua unità e la sua democrazia, secondo la Costituzione. Interrogandoci sui due cardini della vita costituzionale, la libertà e l’uguaglianza, nella nostra scuola di Poppi in Casentino, nel luogo dantesco da cui si è levata 700 anni fa la maledizione contro le corti e i cortigiani che tenevano l’Italia in scacco, nel servaggio, nella viltà e nell’opportunismo, Libertà e Giustizia è stata condotta dalla pesantezza delle cose che avvolgono e paralizzano oggi il nostro Paese a proporsi per il prossimo avvenire una nuova mobilitazione delle proprie forze insieme a quelle di tutti coloro – singole persone, associazioni, movimenti, sindacati, esponenti di partiti – che avvertono la necessità di ri-nobilitare la politica e ristabilire la fiducia dei cittadini nelle istituzioni e in coloro che le impersonano. Che vogliono cambiare pagina per ricucire il nostro Paese.
LE FIRME
Giovanni Bachelet, Mauro Barberis, Michele Battini, Daria Bonfietti, Sandra Bonsanti, Michelangelo Bovero, Lorenza Carlassare, Alessandro Ferrara, Alessandro Gandolfi, Paul Ginsborg, Olivia Guaraldo, Gad Lerner, Giunio Luzzatto, Gabriele Magrin, Valerio Onida, Simona Peverelli, Regina Pozzi, Marco Revelli, Onorio Rosati, Elisabetta Rubini, Franco Sbarberi, Carlo Smuraglia, Nadia Urbinati, Salvatore Veca, Ermanno Vitale
LE SIGLE
Camera del Lavoro di Milano, Anpi nazionale, Circoli LeG