Credo
di essere finito all’angolo di via Roma per partecipare a una
riunione dei lavoratori della Festa in
rosso già dopo pochi giorni dal mio
arrivo a None. Vi ero stato spedito su indicazione di amici comuni,
per compensare il rischio di una frustrazione da trasloco. Venivo da
un paese della Basilicata, ora diventato meta di benestanti
pensionati del nord Europa, e tornavo a un paese, dopo parecchi anni
passati a ridosso della città di Torino. Per di più venivo a None
da adulto, con tutte le difficoltà relazionali che ciò comporta. E
probabilmente avrei patito l’isolamento del lavoratore che torna
nella sua casa “in campagna” per godere della tranquillità
serale e dell’aria buona nel weekend.
Mi
colpì il cartello sulla porta, qualcosa del tipo: “qui si entra
senza bussare”. Tentennai come sempre si fa di fronte a una porta
chiusa oltre la quale c’è un ignoto.Da quel passo è seguito un
impegno che dura da parecchi anni. Deve aver funzionato il primo
impatto, l’accoglienza e la curiosità per il mio percorso e la mia
esperienza da parte dei partecipanti a quella prima riunione: Mario
(ricordo di essere rimasto stupito di quanti Mario ci fossero),
Fabrizio, Andrea e altri che non elenco ma che non dimentico.
Se
dovessi dire, con sincerità, la ragione che mi spinge a questo
impegno, dovrei mettere al primo posto la possibilità di sentirmi
parte di una comunità, di condividere un pezzo della mia esistenza
con umanità differenti, come canta Guccini “non si fa a meno di
altre vite […] perché la nostra è sufficiente appena”. Poi a
mente fredda, e con lo spirito rischioso del Don Chisciotte o,
peggio, di Donna Prassede, mi concedo il lusso di compiacermi per il
mio contributo, perché tutto quanto viene fatto in quei giorni di
luglio è destinato a giusta causa, una delle quali è la costruzione
di uno spazio politico che ha come presupposto la partecipazione di
tutti, “da ciascuno secondo le sue capacità”.
Domenico
Demuro
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