E poi, si dice, i ceti subalterni con le loro famiglie si trovano in gran parte in una condizione che risulta dalla loro scarsa imprenditorialità, dalla loro volubile laboriosità e dalla loro stratificata propensione alla furbizia e al raggiro. Dunque, meglio indirizzare la quota maggioritaria delle risorse disponibili verso le imprese che hanno argomenti persuasivi per chiedere tutto, al mutar della temperie, ora al libero mercato, ora allo Stato. Mentre “Repubblica”, appena tornata saldamente nelle mani della famiglia Agnelli, paventa “il ritorno dello Stato imprenditore”, FCA rivolge rispettosa domanda di ottenere dal governo garanzie per 6,5 miliardi.
Ora, è verissimo che, come già Antonio Giolitti insegnava a Riccardo Lombardi, “gli investimenti non li può fare lo Psiup”. Ma se le imprese non ce la fanno, non possono riesumare scolasticamente la socializzazione delle perdite dopo la privatizzazione dei profitti, come se la società italiana affrontasse per la prima volta l’infelicità di una simile esperienza.
In questo contesto, molto efficace è il recentissimo appello “Democratizing Work”, sottoscritto da oltre 300 ricercatori di più di 650 Università del mondo, tra cui Elisabeth Anderson, James Galbraith, Lawrence Lessig, Nadia Urbinati, Thomas Piketty, Dany Rodrik, Sarah Song. Essi escludono piani di salvataggio senza condizioni che incrementerebbero il debito pubblico senza l’avvio di politiche di democratizzazione del lavoro e di risanamento ambientale. Piuttosto “se i nostri governi si impegnano per salvare le imprese nella crisi attuale, anche queste ultime devono fare la loro parte, accettando alcune condizioni fondamentali della democrazia”. Le imprese vanno appoggiate “a condizione che queste adottino delle nuove pratiche, attenendosi a requisiti ambientali esigenti e introducendo strutture interne di governo democratico”.
Lavoro di cittadinanza, progressività fiscale, investimenti pubblici e privati nell’economia sostenibile: questa è la trincea su cui combattere se vogliamo guarire e non ripristinare nei prossimi anni le malattie di un’economia che uccide.
Mario Dellacqua
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