La presente nota non ha alcuna pretesa di obiettività.
Obiettivo sarai tu, io sono un tranquillo uomo di parte.
La fine di Solidarietà e progresso, da molti riconosciuta, ha molti padri riluttanti.
E’ l’ultimo frutto di un pigro processo degenerativo che ha prima svalutato e poi definitivamente espulso dalle liste militanza, appartenenze, impegno politico. Il risultato conclusivo ha invece valorizzato candidati intervistati dal leader o da suoi emissari e poi scelti in virtù delle loro potenzialità di raccoglitori di voti nel proprio ambiente sociale o famigliare. Contano sempre meno l’uguaglianza o l’affinità delle idee, le precedenti esperienze politiche comuni, la preparazione e la competenza maturata attraverso la partecipazione alla vita democratica.
Non ci sarebbe più la vecchia lotta di comunisti, democristiani e socialisti. Il contrasto sarebbe tra buon senso, bene comune e politica come servizio da un lato. Dall’altro ci sarebbero le ideologie, la politica come strumentalizzazione e come forma più alta di corruzione.
Curiosamente, l’attuale leadership di Solidarietà e progresso ha realizzato compiutamente questo disegno di emarginazione della politica che è sempre stato del centrodestra più retrivo e provinciale. Perciò, niente da stupirsi se si candidano in Solidarietà e progresso soggetti che non hanno alcun timore di dichiararsi apertamente di destra. Niente da stupirsi se il segretario democratico nel giro di pochi mesi offre la candidatura a sindaco a tre persone, ipotecando persino la legislatura 2014-2019 e poi dice, riferendosi a una quarta persona, “se si candida, la sostengo mio malgrado”. Il segretario democratico sembra evaso da una bocciofila. Niente da stupirsi se l’elegante opuscolo di Solidarietà e progresso mette in copertina la chiesa parrocchiale dei cattolici: un ammiccamento non so quanto involontario, ma certo di pessimo gusto. Niente da stupirsi se la candidata del centrodestra reclamizza il suo vantaggio di “non essere inquinata dalla politica”. In fondo non sarà l’ultima vittima della vittoria postuma del fascismo.
E’ evidente che io sono tra i grandi inquinatori. Infatti mi occupo di politica dal 1970 e da allora sto dalla parte di Giacomo Ulivi. Questo giovane fucilato a Modena nel 1944 scriveva che “la nostra colpa” sta nell’aver subito “un’opera ventennale di diseducazione politica che martellando da ogni lato, è riuscita a inchiodare in ognuno di noi dei pregiudizi: fondamentale quello della sporcizia della politica”. Grazie alla conclamata “sporcizia della politica” e all’odio per il Parlamento, un maestro di Predappio diede filo da torcere ai nostri nonni e genitori per una ventina d’anni.
Questo esito è responsabilità della leadership di oggi, ma anche di quella di ieri, cioè anche della élite cosiddetta storica dei cosiddetti padri fondatori. C’è però una possibile differenza: il vecchio gruppo si sta aprendo alla consapevolezza che questa malattia va riconosciuta con diagnosi impietosa e si è messo a cercare la prognosi più efficace per combatterla. Gli attuali amministratori delegati della premiata ditta, invece, non se ne sono neppure accorti. In pochi minuti hanno dichiarato morta SP, ne hanno fatto frettolosi funerali di terza classe e ne hanno proclamato la resurrezione nell’attesa della sua venuta. Si dicono entusiasti. Pensano già alla celebrazione di un solenne ventennale. Dunque non possono ravvisare la necessità di alcuna cura, giacchè scambiano per piena salute ciò che per altri è invece pericolosa malattia.
E invece la malattia c’è. E’ nell’improvvisazione, è nell’attesa del leader, è nella delega al momento elettorale come madre di tutte le battaglie. E’ nell’evaporazione della vita associativa che forgia le competenze e seleziona i leader attraverso lo studio, le relazioni libere e solidali, il dibattito che fa sbocciare i cento fiori del pensiero. Le amicizie si consolidano e si motivano nel comune lavoro . Si dovrebbe lavorare per la presenza sindacale nelle fabbriche, o per l’istruzione e l’autoeducazione permanente di tutte le età, o per iniziative di integrazione degli stranieri, o per la formazione di amministratori competenti nel bilancio partecipato, nell’urbanistica ecologicamente sostenibile e nel fisco equo. Siamo senza giornalisti che fanno inchiesta parlando con chi non sa scrivere. Siamo troppo timidi nel commercio equo e solidale e nella solidarietà con i popoli oppressi dalla fame e dalla guerra. Possiamo scoprire il benessere con i viaggi, la musica e il teatro. Naturalmente non tutto e subito, ma qualcosa di tutte queste cose ogni giorno dal basso, col tempo, con gli altri.
Davvero, io sono convinto che quella sia la malattia e che questi siano i rimedi. Mettiamoci in cammino e non lasciamoci stupire, demolire, intimidire e neppure entusiasmare (?) dagli esiti elettorali. Da lì nulla potrà aiutarci. Don Primo Mazzolari diceva che chi, per muoversi, aspetta una strada senza buche e senza tortuosità, in realtà è uno che non vuole muoversi.
None, 30 maggio 2009