ROBERTO TRAVAN La Stampa 10 novembre 2010
SUSA
Più di un milione di euro per cinque centrali termiche che da tre anni funzionano a singhiozzo. Sono gli impianti a cippato (il combustibile «verde» ricavato dallo sminuzzamento del legno) costruiti nel 2007 in Val di Susa. Avrebbero dovuto riscaldare scuole, palestre, uffici pubblici. Fino ad ora hanno funzionato poco e male: di legno ne hanno consumato pochissimo, ma hanno bruciato una gran quantità di denaro pubblico. E «scaldato», al massimo, il dibattito di qualche Consiglio comunale.
Il motivo? «Errori di progettazione e realizzazione» avevano denunciato lo scorso febbraio al nostro giornale alcuni amministratori comunali. È passato quasi un anno e, se possibile, le cose sono addirittura peggiorate: questo inverno, infatti, delle cinque centrali costruite ne funzionerà solo più una. Le altre, invece, non saranno nemmeno accese: bandiera bianca, insomma. Ma andiamo con ordine. Tutto inizia nel 2006 quando la Regione finanzia (al 50%) la costruzione di dodici centrali a biomasse, il combustibile ricavato dalla lavorazione del legno. Nel Torinese ce ne sono sei. Cinque sono in Val di Susa: Almese, Chianocco, Mattie, Rubiana e San Giorio. L’altra è in Canavese, a Cuorgnè. L’obiettivo è ambizioso: tentare il rilancio dell’economia rurale attraverso la filiera del legno.
In Valsusa, però, qualcosa va storto: prima si scopre che rami e sfalci non possono essere usati perché le caldaie bruciano solo combustibile ottenuto dai tronchi; poi che il legno delle conifere del Musinè non va bene perché troppo resinoso; quindi che il cippato è più conveniente «importarlo» dal Cuneese che produrlo in Valsusa.
Ma il problema più grosso sono le centrali. «Sono state progettate male» denunciano in coro i Comuni. Nel frattempo, però, «le garanzie sono scadute e le fideiussioni restituite» ammette la Comunità montana, coordinatrice del progetto. Non basta: l’assistenza viene inizialmente affidata a un’azienda di Cavallermaggiore, nel Cuneese: «Troppo oneroso pagare la manutenzione: 140 chilometri per venire a sbloccare la nostra caldaia: abbiamo lasciato perdere» aveva dichiarato sconsolato il sindaco di San Giorio, Danilo Bar. Quest’inverno funzionerà solo l’impianto di Chianocco, il più piccolo, costato 90 mila euro. Lo scorso anno per girare aveva assorbito tanta corrente «che se avessimo riscaldato la scuola con le stufette elettriche avremmo pure risparmiato» aveva dichiarato il vicesindaco Fabrizio Ivol.
«Abbiamo fatto alcune modifiche. Quest’anno le cose dovrebbero andar meglio» afferma il sindaco Mauro Russo. Ad Almese il sindaco Bruno Gonella è lapidario: «La nostra centrale resterà ferma in attesa di poter valutare approfonditamente le eventuali modifiche, i costi, le alternative, comprese quelle relative alla sua gestione».
L’impianto di frazione Milanere è costato 196 mila euro (extra esclusi) e lo scorso anno ha scaldato solo un paio di mesi. Gonella confidava di ricavare dai minori costi di gestione («garantiti dalla municipalizzata Acsel») i soldi necessari a rimettere a posto l’impianto. Non è andata così. Stesso copione a San Giorio dove la centrale da 200 mila euro resterà spenta: «Un pool di tecnici sta studiando il da farsi» dice il sindaco Danilo Bar. «Crediamo in queste fonti alternative ma non possiamo spendere altri soldi: abbiamo chiesto una mano alla Comunità montana» confida.
A Mattie l’impianto a cippato nato per scaldare municipio, palestra, scuole e ufficio postale è costato 275 mila euro. «Lo scorso anno siamo riusciti ad accenderlo solo a fine stagione» spiega il sindaco Paolo Catalano. Tutto ok, allora? «Macché - prosegue - servono altri soldi per metterlo a punto: meglio usare la vecchia caldaia a gasolio». Anche l’impianto da 260 mila euro di Rubiana è un flop. «Questo inverno scalderemo con il metano» taglia corto il sindaco Gianluca Blandino. Che aggiunge: «Non spenderò più un euro fino a quando non si chiariranno le responsabilità di questo sperpero: paghi chi ha progettato e realizzato male gli impianti. Paghi chi ha detto che le centrali erano a posto».
C’è chi dice che per rimettere in sesto gli impianti bisognerà mettere un’altra volta mano al portafoglio. E sborsare non meno di 160 mila euro. Soldi pubblici. Come sempre.
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