Circa 125
lavoratori Indesit di None non ancora ricollocati dovranno scegliere.
Trentamila euro: pochi, maledetti e subito o trasferimento negli stabilimenti
Indesit delle Marche, a Comunanza. E' chiaro che l'alternativa secca prepara
l'esito certo della mobilità e del licenziamento. I lavoratori che non hanno
preso una decisione entro il 31 luglio, vedranno ridursi l'indennità a 20mila
euro alla scadenza di ottobre. Questo l'incentivo escogitato per accelerare lo
smaltimento delle eccedenze (un linguaggio fintamente neutro per nascondere la
cancellazione dei diritti delle persone in carne e ossa).
L'Eco
del Chisone ci informa che “una delegazione di dipendenti Indesit è
stata ricevuta in Comune dal sindaco Enzo Garrone, dal vice-sindaco Roberto
Bori Marrucchi e dall'ex-primo cittadino Maria Luisa Simeone”. Immagino le dichiarazioni di rammarico e di solidarietà delle
istituzioni. Se c'erano lavoratori non residenti, mi auguro che Sindaco,
ViceSindaco ed ex Sindaco di None abbiano chiarito che alla prima occasione,
cioè al primo posto da dare o da salvare, essi verranno scaricati per far posto
ai lavoratori nonesi. Motivazione: così fanno
anche altri Comuni. Così ciascuno si tiene i suoi posti di lavoro e i suoi
disoccupati, con tanti saluti e tanti comunicati di dolente solidarietà.
Il cronista dell'Eco registra le voci rabbiose dei lavoratori per
i quali la destinazione di Comunanza è un sacrificio insostenibile a causa dei
costi di trasferimento (umani e economici) che imporrebbe. Inoltre anche la
località marchigiana potrebbe essere interessata da ridimensionamenti
occupazionali e da cassa integrazione:
dopo il danno arriverebbe la beffa. Le maestranze si sentono abbandonate “in
primis dai sindacati che hanno firmato un patto favorevole solo alla
multinazionale».
Ora, non scopriamo l'acqua calda e parliamoci chiaro. E' dal 1980
come minimo che gli accordi sindacali favoriscono la ristrutturazione delle
grandi industrie e i loro progetti di riduzione dei costi attraverso delocalizzazioni
e licenziamenti. Tuttavia, questo
sindacato che non ha saputo e potuto arginare la perdita di milioni di posti di
lavoro, ha firmato centinaia di accordi, come questo dell'Indesit, che “è la
conclusione di sei anni di cassa integrazione” . I lavoratori non avrebbero
beneficiato di questo trattamento senza l'intervento sindacale. Fa bene a
sottolinearlo Claudio Chiarle, il segretario torinese della Fim-Cisl.
Altri sono i crucci che dovrebbero tormentare il movimento
sindacale. Infatti milioni di lavoratori di piccole, piccolissime e medie
industrie hanno perduto il posto di lavoro e nessuno se ne è accorto. Non hanno
avuto la cassa integrazione, la mobilità, i prepensionamenti che invece hanno
protetto i lavoratori delle grandi industrie. Semplicemente sono spariti senza
lasciare traccia sui giornali e sui telegiornali nazionali o regionali. Senza
contare l'universo dei lavoratori precari e dei giovani sprovvisti di ogni
diritto, di ogni tutela, di ogni rappresentanza e dominati da un regime quotidiano
di ricatti silenziosi e potenti, di minestre da mangiare o di finestre da cui
saltare.
C'è da chiedersi che cosa sarebbe potuto succedere ai lavoratori
Indesit se nel 2009 o anche nel 1980 i sindacati non avessero firmato accordi
che tutelavano i lavoratori dal salto brusco nella disoccupazione senza
ammortizzatori sociali, pur sapendo che le imprese con quegli stessi accordi
incassavano il via libera ai loro progetti di abbandono dell'industria.
Non si può chiedere al movimento sindacale il potere di
condizionare e di vincolare le decisioni dei governi e delle multinazionali,
specie se si guardano in faccia le sue debolezze: il basso tasso di iscrizione
dei lavoratori, la debole partecipazione alla vita associativa, la mediocre
competenza dei delegati, l'avaro rinnovamento delle sue rappresentanze di
fabbrica, la scarsa abitudine alla solidarietà. Nonostante questi gravi limiti,
all'Indesit dalla crisi del 1980 in poi nessuno è stato abbandonato. Gli ultimi
lavoratori e lavoratrici sono stati accompagnati alla pensione dopo quasi due
decenni tra cassa integrazione, prepensionamenti o lavori socialmente utili.
Quelli erano anni in cui i lavoratori abbandonavano i sindacati
quando, per difendere il posto di lavoro di tutti, organizzavano manifestazioni
a Torino. I lavoratori scioperavano e uscivano anticipatamente dagli
stabilimenti ma, invece di salire sui pullman, andavano a casa. Alle
manifestazioni prendeva parte meno della metà delle maestranze.
Dico una balla? Se i lavoratori di allora non vogliono interrogare
la loro coscienza, possono interrogare la memoria di sindacalisti come Elvio
Tron, Enrico Lanza, Augusto Canal.
4 agosto 2014 dall'angolo di via
Roma 11, Mario Dellacqua
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