L’irruzione di Orietta Berti nella campagna elettorale
sarebbe l’ennesima prova del grado di decadimento raggiunto dalla politica
italiana. Ma non è il caso di indignarsi troppo. Da un pezzo Orietta Berti è la
traduzione musicale della filosofia dell’ottimismo dei qualunquisti. A sua
insaputa, la sua barca guida comportamenti sociali orientati a cercare successo
senza passare attraverso la partecipazione democratica. O meglio, senza tenere
conto che gli altri esistono o, se esistono, sono un ostacolo da neutralizzare
o schiacciare.
Me n’ero accorto verso il 2003.
Mi capitò allora di scrivere
di Orietta Berti “con tutto il rispetto” presentandola come “la più
efficace divulgatrice popolare di massime neoguicciardiniane”. Con tutta
la mia ingenuità mi chiedevo se “davvero dobbiamo ubbidire per il futuro al
destino che ci preparano i detentori della ricchezza e del potere”.
Mi permettevo di osservare che “se è razionale ciò che è reale, mentre
sarebbe utopico, falso o addirittura dannoso tutto ciò che aspira alla rottura
del privilegio e alla critica del potere, si finisce per annullare la
soggettività dell’uomo e si comprime la molla di ogni progettazione della
riforma sociale. Al suo posto si insedia la dittatura comoda e amica di un
pensiero obbligatorio sempre pronto, a tutte le latitudini, a far ponti d’oro
alle penne del pavone e alla pace della pigrizia, come diceva Piero Gobetti”.
Concludevo che “la barca va, ma se la lasci andare ci
porta al naufragio”. Il pensiero di Orietta Berti gode purtroppo di
ottima salute e di notevole prestigio popolare. La rabbia contro la democrazia
e l’odio per la casta vanno benissimo perché nutrono l’alleanza tra corruzione
e attesa passiva di un leader che la cancelli. Non la darò mai vinta a Orietta
Berti e darò una mano a tutti coloro che sapranno unire le loro energie morali
per cercare la riforma sociale, la redistribuzione della ricchezza e del
lavoro, l’ecologia nell’economia, il noi che aiuta l’io. Anche per queste ragioni
ho aderito a Liberi e Uguali.
Chiedo scusa per l’immodesto e inelegante vezzo narcisistico
dell’autocitazione, ma ogni tanto anche gli intellettuali di periferia (sono un
autorevole intellettuale del Chisola) reclamano i loro piccoli diritti
Mario Dellacqua
Nessun commento:
Posta un commento