martedì 19 marzo 2019

“L’UOMO BIANCO” PARLA CON LINGUA BIFORCUTA?

Ora è arrivato anche l’infelice uscita di Tajani. Ma sulla faccenda del fascismo in arrivo dove eravamo rimasti? Siamo ancora immersi nel gorgo di una riflessione che ci fa paura e che invece dovremmo essere i primi a non temere.

“L’uomo bianco” di Ezio Mauro arriva a complicare l’appassionato e lancinante rovello: nella “drammatica autonomia del caos”, la miccia era già accesa. E “non c’è bisogno di pensare a un impossibile ritorno del fascismo organizzato (…) Basta chiedersi quanto fascismo disorganico, sciolto, quasi naturale è già tornato a circolare nella nostra società. Lo consideravamo morto e sepolto dalla storia, mentre improvvisamente ritrova un mercato sociale più che elettorale”.
Detonatore dell’allarmata riflessione di Mauro è la sparatoria di Macerata. Il libro ne esplora il retroterra sociale e ideologico: lo fa sia scandagliando nel delirio di impotenza e onnipotenza che ha armato la mano del killer, sia rovistando tra le ragioni e le pulsioni che spopolano prima di diventare pallottole. 
Il killer parte dalla pretesa di fustigare gli italiani che “parlano, parlano, ma nessuno fa niente”. E “se dai un segnale, lo vengono a sapere tutti”. Qualcuno deve farsi avanti: ecco il fascino intramontato del gesto esemplare. Gli altri sono una comunità di cittadini regredita allo stadio della tribù che sceglie il capro espiatorio e lo sacrifica caricandolo delle colpe di tutti. “Purchè non qui da noi. Finiscano dove vogliono, finiscano come possono, finiscano comunque. Purchè finiscano”. 
Fino a ieri – nota Mauro – non ci saremmo permessi questo linguaggio feroce, addirittura ostentato come prova di genuinità e di innocenza contrapposta al raffinato eloquio truffaldino dei salotti radical-chic (soppiantati dal trionfo del cafonal-pop che, come dice Marcello Veneziani, è l’altro modo di attribuire agli altri la propria spocchia). Si dice che Traini è una scheggia impazzita rappresentativa solo del proprio privato squilibrio, mentre, se tutti gli spacciatori della zona sono neri, si può concludere che tutti i neri sono spacciatori o lo possono diventare. Non serve sapere ciò che fanno. Basta ciò che sono per trasformarli nel bersaglio di un proiettile. Traini, invece, ha di diritto lo spazio riservato alla solitaria e deprecabile eccezione. Già, ma come si spiegano i numerosi messaggi di ammirazione e di incoraggiamento che hanno circondato di solidarietà il giovane pistolero? 
“Tutto questo – scrive Mauro – sarebbe frutto dell’esasperazione del cittadino insicuro (..) In realtà è esattamente il contrario. E’ il segno di una regressione evidente, che porta la persona a spogliarsi della responsabilità sociale di cittadino per tornare individuo” (p.100 e 119).   
In questa luce, l’irruzione sulla scena della violenza sanguinaria, non è neppure il prolungamento accanito della lotta politica, ma solo l’altra faccia di una grande discesa avvenuta nel freddo dell’indifferenza, nel silenzio del pensiero, nella solitudine del rancore, nella rinuncia sempre più radicale ad ogni forma di partecipazione. Peggio: la politica non è uno strumento per contare, lottare, governare, controllare o trasformare, ma un ostacolo di cui sbarazzarsi.  E’ “l’incompetenza anonima del singolo” diventata “virtù del popolo fino alla provocazione” dei parlamentari estratti a sorte con la democrazia dei dadi (p.125).  Essa convive con l’invenzione di soluzioni primitive e paramilitari a problemi complessi: muri, affondamenti, respingimenti, fili spinati. Nella denuncia permanente delle colpe altrui, Cinque Stelle e Lega sparano a raffica dalla stessa trincea. E mietono vittime entusiaste con il serpente velenoso di una guerra “per il nulla in cui viviamo ma che non siamo disposti a dividere con nessuno”. 
Il magma del risentimento ribolle e matura nelle code estenuanti allo sportello degli uffici pubblici, in una barella per ore al pronto soccorso, al telefono per una visita specialistica che avrai prima se paghi subito, in una palestra dove tuo figlio si trova ammassato con altre migliaia per un concorso di vigile. A quel punto, “gelosi del poco che hanno”, gli ultimi contro i retrocessi entrano in concorrenza con i disperati - subito detti palestrati – in arrivo sui barconi che portano “qualcuno da non mantenere” e da invidiare per l’elemosina sociale che ricevono dallo Stato, dalla Caritas o dall’Europa. 
Non erano razzisti a Gorino i blocchi stradali che hanno fermato un pulmann  di 12 donne straniere con i loro figli: Mauro li considera “sinceri”. Ma avevano introiettato il principio che vuole la povertà promanare da una colpa e che riesce a sollevare il ricco da ogni responsabilità sociale. Addirittura lo libera dalla paura dei poveri, rimasti orfani di un partito capace di alzare il prezzo della coesione sociale e della pace civile. 
E’ un problema gigantesco che ha bisogno del bisturi e non del machete. Le riflessioni che Mauro conduce sul campo surrogano l’afasia del Pd e sembrano riempire il vuoto lasciato dalle rimozioni che lo inchiodano all’attuale paralisi.
“Il mondo si è rinchiuso e noi non siamo stati capaci di rassicurare, confortare, assistere, convincere” o tutelare, promuovere, organizzare prima ancora che rappresentare. Mentre inseguiva “chissà quale scorciatoia della modernità” (p.30), la sinistra si è pigramente illusa che la democrazia potesse proteggersi da sola con i suoi anticorpi scritti. Invece la democrazia non è interamente octroyée, ma va continuamente riconquistata e curata nella sua fragilità con opere di manutenzione, irrigazione e alimentazione quotidiana. Democrazia tanto debole per la consunzione dei partiti, ma abbastanza cinica e feroce da espellere fuori di sé masse crescenti non di poveri, ma di impoveriti e di espropriati delle loro relative condizioni di benessere acquisite al culmine dei trenta gloriosi. Se li si lascia pervicacemente marcire ai margini dello sviluppo, resteranno sul divano il giorno del voto perché “votare o non votare è uguale, votare l’uno o l’altro è la stessa cosa, perché per le mie condizioni concrete di vita non cambia nulla”. 
Arriverà (è arrivato) un tipo tosto e arrogante nella sfida a banche, governi, agenzie di rating, euroburocrati, media, mercati, professori e intellettuali. Ci vuole un pifferaio capace di prendere a calci il sistema. Cosa ci sarà dopo il calcio, non importa e si sa che le promesse non sono mantenibili. Ma, nel frattempo, diamo il giro alla baracca, “rovesciamo il tavolo e godiamoci lo spettacolo, poi si vedrà” (p.68-69).

Mario Dellacqua

EZIO MAURO, L’uomo bianco, Feltrinelli, ottobre 2018, p. 138, euro 15.

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