La prima: non furono 40mila, ma 16mila. Può darsi, ma seppe farli bastare. 16, 20 o 40mila che fossero (sono credibili i 16mila come da prima comunicazione della Questura), la loro irruzione sulla scena torinese terremotò la fase conclusiva della lunga lotta sindacale. A quel corteo partecipò un numero di lavoratori di gran lunga superiore ai “resistenti” ai presidi. Poche ore dopo quel corteo, la Procura di Torino (dott. Tinti) deliberò di “fare aprire i cancelli” per il giorno dopo, anche con l’impiego di polizia e carabinieri. Chi ricorda ancora quelle ore al primo turno?
La seconda: non è vero che Berlinguer abbia incitato gli operai a occupare la Fiat, interrogato da Liberato Norcia, uno dei leader della Fim-Cisl alle Carrozzerie di Mirafiori, che Novelli pensava fosse di Lotta Continua. Rispondendo che il Pci avrebbe appoggiato ogni forma di lotta decisa dai lavoratori con i loro sindacati, il segretario comunista difendeva la sua sintonia con i duemila polacchi (come li chiamò Salvatore Tropea) aggrappati al sempre più debole presidio delle 32 porte di Mirafiori. Nello stesso tempo auspicava la conclusione della difficile e lunga vertenza temendo che anche il partito pagasse le conseguenze di una disfatta.
Sapevamo tutti - dopo l’affissione da parte della Fiat dei 24.000 nominativi dei lavoratori posti unilateralmente in cassa integrazione a zero ore, in alternativa ai 14.000 licenziamenti preannunciati da Umberto Agnelli - della non praticabilità di una lotta articolata che avrebbe dovuto “separarsi” dai 24.000, i quali si sarebbero sentiti abbandonati al loro destino! Se l’occupazione di Mirafiori e Rivalta era impensabile, la scelta dei presidi dei cancelli, dall’esterno, apparve in quei giorni non già una scelta disperata, ma obbligata, per garantire l’unità dei lavoratori.
Era possibile un accordo diverso? Era ancora possibile salvaguardare e rispettare le decisioni dei Consigli di Fabbrica e delle assemblee dei lavoratori? Avremmo meritato una sconfitta più rispettosa e meno disonorevole, non misconosciuta dalla pantomima di un accordo già deciso, indipendentemente dall’esito del voto delle assemblee.
Ma questa storia non interessa Novelli, impegnato a dividere il movimento operaio torinese di quei 35 giorni in gruppettari isolati da un lato e Fiom, Cgil, Lama con “la barra dritta” dall’altro. Il terrorismo poi non c’entra. Durante i 35 giorni quell’ordine di monaci combattenti aveva deciso di osservare un religioso silenzio.
Uscire dal coro degli elogi, fino al limite delle adulazioni, andare controcorrente è un valore in sé per il pluralismo, purchè non si incorra in gravi omissis.
Diego Novelli nella sua intervista insiste nel “demolire” Romiti come persona per rendere più semplice la delegittimazione del suo ruolo e delle sue idee. Per Piero Fassino, la liquidazione avviene con una fredda battuta di mezza riga che gli nega addirittura la maturità.
A distanza di molti anni, avendo più elementi di valutazione, chi è stato al centro di quegli avvenimenti drammatici, anche pagandone le conseguenze, come lo stesso Novelli, dovrebbe chiedersi se l’esito di quella lotta finita male non abbia annunciato anche il declino della stagione delle Giunte di sinistra.
Mario Dellacqua