Il PEC di via Beinasco-via Torino, che tanta polemica ha scatenato nel Consiglio Comunale dello scorso 10 settembre, è lo strumento attraverso il quale l’amministrazione comunale acquisirà l’immobile e il terreno della Chiesa di Sant’Anna in via Santarosa, nonché un’area su via Beinasco per realizzare con i Piani di Zona del CISA una ventina di minialloggi da destinare agli anziani.
Credo sia immediato comprendere l’entità tangibile di queste acquisizioni per il Comune e le opportunità in termini di servizi socio-assistenziali che si offrono nei prossimi anni per tutta la comunità.
Tale operazione, la cui approvazione del PEC nello scorso consiglio non è stato che l’ultimo atto amministrativo, è stata pianificata e istruita con la passata amministrazione direttamente dal sottoscritto.
Confesso che un po’ mi è dispiaciuto non aver avuto il tempo materiale per completare direttamente l’iter di questa pratica.
Questo perché sono convinto, e con orgoglio, che si sia operato con intelligenza e lungimiranza nell’interesse collettivo della comunità, valorizzando al meglio l’opportunità venutasi a creare con la disponibilità di un gruppo imprenditoriale interessato alla valorizzazione residenziale e commerciale dell’area, circa 12.000mq, sottesa tra via Beinasco e via Torino e confinante con il cimitero.
E’ riduttivo, se non sbagliato, pensare che questa operazione sia stata il frutto di una mera negoziazione tra pubblico e privato. Quantunque in ciò non ci sia niente di deprecabile quando a vantaggiarsene è l’interesse collettivo, l’idea di acquisire la chiesa di Sant’Anna, una struttura sempre più sottoutilizzata per gli scopi cui era stata destinata, è un’idea che nasce da una necessità e da una programmazione negli anni.
La necessità è quella di ricavare spazi per scopi sociali e socio assistenziali (come per esempio l’individuazione di una nuova sede per la Croce Verde, senza la quale il nostro paese ne perderà il servizio visto che l’attuale collocazione è stata dichiarata dagli organi di controllo sostanzialmente fuori legge) in un contesto generale che denota una carenza strutturale che, a meno di illusioni deleterie e demagogiche, non potrà mai più essere colmata con investimenti solo di carattere pubblico.
La programmazione deriva da un disegno organico di pianificazione territoriale, qual è stato la variante strutturale al Piano Regolatore, il cui progetto preliminare, è stato approvato nella famigerata seduta del Consiglio Comunale dello scorso 21 Aprile, nella quale il sottoscritto e Giovanni Garabello si dimisero dalla Giunta, dissociandosi dalla lista di Solidarietà & Progresso.
Non è questa la sede per descrivere questo disegno, nell’ambito del quale sia l’area di Sant’Anna che quella di via Torino assumono esattamente gli stessi connotati previsti nel PEC ora approvato; voglio però evidenziare a chi lamenta difetti di programmazione, che la gestazione del piano ha comportato almeno 4 anni tra studi e confronti all’interno della amministrazione e con tutti gli enti sovracomunali preposti al controllo e all’approvazione.
La variante parziale che ha generato il PEC della discordia altro non è che un’anticipazione del disegno della variante generale sulle aree suddette. E’ assolutamente vero che è stata concepita e materializzata a tempi di record, e questo fatto, per me, deve essere motivo di vanto più che di critica, dal momento che rende merito ad una determinazione e un lavoro cui hanno concorso tutti (gli amministratori, i tecnici, gli imprenditori, la parrocchia e la Curia) con il medesimo obbiettivo, avendo evidentemente tutti quanti un vantaggio specifico nel successo dell’operazione.
A chi paventa dubbi di intenti speculativi fuori controllo, evidenzio che il plus edificatorio rispetto alle previsioni originali del piano regolatore di cui godranno gli operatori privati sull’area di via Torino – via Beinasco è limitato esclusivamente ai diritti di edificazione della nuova area commerciale. Per quanto concerne i parametri edilizi riguardo la residenza, nulla è stato variato, né per quanto concerne le volumetrie ed il numero dei nuovi residenti insediati, né per quanto riguarda le caratteristiche morfologiche degli edifici.
Conosco molto bene le osservazioni formulate dalla Commissione Igienico Edilizia ed evidenziate con puntualità da Mario Scaglia. E penso fermamente, senza paura di essere smentito o di subire altre critiche, che in questa occasione alcuni commissari abbiano espresso valutazioni oggettivamente non competenti nella forma e nella sostanza istituzionale ed in alcuni casi addirittura sbagliate nel merito.
Premetto che sono fautore e difensore ad oltranza del ruolo della Commissione Igienico Edilizia: ritengo che sia uno strumento di partecipazione che sta a pieno titolo con un significato importante nella storia e nella tradizione democratica dei piccoli comuni come None.
Ma va anche ricordato che la Commissione Edilizia è un organo esclusivamente tecnico, partecipato dai tecnici del comune (gli unici rappresentati dell’amministrazione dove neanche l’Assessore competente può presenziare) e da professionisti esterni al Consiglio Comunale, il quale deve esprimere pareri di carattere tecnico sulla compatibilità degli interventi edilizi rispetto alle regole e ai parametri definiti nel Piano Regolatore e nel Regolamento Edilizio.
E queste regole e questi parametri sono definiti in sede politica e urbanistica, dove opera in prima linea l’assessorato, in seconda la Commissione Urbanistica ed in ultima il Consiglio Comunale.
E allora, con quale presupposto, la CIE disquisisce sui parametri urbanistici assegnati all’area? Per quale ragione entra nel merito delle scelte urbanistiche che non le competono e si permette addirittura di criticare l’iter di valutazione politica-amministrativa, quando non ha titolo?
E riguardo l’altezza degli edifici (che, ripeto, è esattamente nei limiti imposti dal Piano originale) come si fa a giudicarla “eccessiva rispetto al contesto limitrofo”? Ma i commissari se lo sono fatti un giro su via Torino, dove insistono, proprio nelle aree adiacenti all’area in trasformazione, alcuni tra i condomini più alti di tutto il paese?
Non conosco le ragioni profonde di certe prese di posizione di alcuni professionisti, ma posso immaginare che nel ristretto mondo professionale che gira attorno all’urbanistica e all’edilizia di un paese, possano risaltare a volte atteggiamenti non proprio disinteressati. E l’urbanistica, a differenza della matematica e della fisica, non è una scienza esatta.
In conclusione, è del tutto evidente che la mia posizione è altamente condizionata dal livello emotivo e di impegno, che ho profuso in questo progetto.
E dal pensiero che l’urbanistica moderna, applicata anche alla gestione di piccoli territori come sono i nostri comuni, non possa che fare a meno di un sano coinvolgimento dell’iniziativa privata, affinché questa possa concorrere, in un contesto di regole chiare e predefinite, con la propria operosità e visione, alla costruzione partecipata della città. In questo contesto, il buon amministratore è colui che avendo a cuore la salvaguardia e l’equilibrio di tutte le esigenze (patrimonio e valorizzazione edilizia, infrastrutture, servizi, verde...) sa valorizzare al meglio per la collettività le opportunità che si costruiscono o che man mano si possono presentare.
In cuor mio ritengo che in questa occasione i rappresentati di Alternativa non abbiano saputo cogliere la portata ed il valore più ampio che stava dietro al PEC, difettando oltre che di inesperienza, probabilmente anche di miopia politica e amministrativa.
Quantunque sia stato un atto in gran parte dovuto, non posso che viceversa riconoscere la correttezza della nuova amministrazione per aver saputo dar seguito a quanto fatto con la precedente. E per quanto ho polemizzato in passato su tante questioni con Daniele Carità, non posso che questa volta rendergli merito per la coerenza personale e politica dimostrata in un’occasione non scontata e probabilmente anche un po’ sofferta.
Giuseppe Astore
Questo dibattito fra Mario Scaglia e Giuseppe Astore mi sembra di grande rilievo: molto civile nei toni e serrato nei contenuti, mi dà filo da torcere e mi fa riflettere.
RispondiEliminaSono critico verso l’attuale amministrazione, ma fin dal suo sorgere ho considerato accettabile l’intervento tra la via Torino e via Beinasco. Il Comune otterrà il vantaggio collettivo rappresentato dall'acquisizione della chiesa di Sant'Anna in via Santarosa, dai mini alloggi per gli anziani e dalla sistemazione definitiva della Croce Verde in una sede idonea. La contropartita comporta qualche sacrificio perché la realizzazione di una nuova area commerciale e residenziale consumerà un’altra porzione di territorio e nuovi posti di lavoro non si creano con i supermercati: al massimo si spostano da un centro commerciale all’altro, se rimane invariato il potere d’acquisto dei lavoratori.
Ma nel complesso, l’Amministrazione comunale diretta da Maria Luisa Simeone, secondo me, ha fatto bene nella scorsa legislatura - e fa bene in questa - ad incrementare il patrimonio immobiliare a disposizione della collettività. Piuttosto, mi spingerei verso interrogativi più radicali. Quando la smettiamo di consumare la terra, l’acqua e l’aria in nome dello sviluppo e del lavoro? Per lavorare, dobbiamo proprio per forza avvelenare noi stessi e le generazioni future con il cemento e con il petrolio? Non sarebbe meglio lavorare per ristrutturare le vecchie costruzioni, recuperare i centri storici, mettere in sicurezza le scuole, i fiumi e i cantieri?
Infine un’antipatica concessione al mio narcisismo. Dai miei archivi, risulta che la chiesa di Sant’Anna è stata inaugurata il 14 settembre 1990 con gran concorso di popolo e di autorità alla presenza del vicario del Vescovo don Coccolo, con l’accompagnamento della nostra Filarmonica, dell’inno alla gioia di Beethoven, della marcia di Radetsky e dell’Alleluja di Hendel. “L’Eco del Chisone” del 20 settembre 1990 ci spiegava che “la scelta di costruire la nuova Chiesa si era resa obbligatoria quando per la vendita di un terreno di proprietà parrocchiale, la legge prevedeva l’utilizzo immediato del ricavato nella costruzione di un edificio per il culto”. Come dire: sbattiamo i soldi dalla finestra, ma non è colpa nostra. Il 27 settembre 1990, il settimanale pinerolese pubblicava una mia lettera nella quale chiedevo se “la Chiesa cattolica non sa più dove diavolo sbattere i suoi soldi”. Naturalmente, nessuno mi filò e chi prese la parola, lo fece per darmi torto. Non sono passati vent’anni. La Curia non sa che fare di quella chiesa, ma trova il modo di farsela pagare da questa volenterosa convergenza fra pubblico e privato. Possibile che nessuno tenti un bilancio?
Qualche mese fa, l'assessore all'urbanistica del Comune di Pinerolo dichiarava in un'intervista all'Eco del Chisone che se fosse dipeso da lei non avrebbe costruito un centimetro cubo in più. Qualcosa vorrà pure dire...
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