Dopo oltre 33 anni di detenzione, il giudice di sorveglianza del Tribunale di Roma ha concesso la libertà condizionale a Vincenzo Guagliardo, già condannato all'ergastolo insieme con la moglie Nadia Ponti per la sua partecipazione alla lotta armata negli anni Settanta.
A cominciare dal 1991, ho seguito la loro splendida lotta per il diritto all'affettività dei detenuti. Con quella lotta condotta senza spettacoli e con una serena fermezza che non mi dava pace, Vincenzo e Nadia sfidarono le istituzioni e lo sconcerto di tutti noi “liberi”: come può dirsi civile una detenzione che pretende di rispettare l'umanità dei detenuti trattandoli come neppure si fa con le bestie allo zoo? Come si può negare con l'ergastolo la possibilità di un reinserimento sociale, pure solennemente sancito dalla Costituzione? La loro lotta consisteva nel rinunciare ai permessi premio che pure la normativa avrebbe loro concesso e nel rivendicare il diritto di vivere insieme la pena del carcere.
Furono ignorati a lungo.
Così come fu caparbiamente e volutamente incompreso il loro rifiuto di legare la concessione di qualsiasi vantaggio al ravvedimento pubblico. Semplicemente, erano convinti che le idee si cambiano per libero, intimo, tormentato e perciò autentico convincimento, non sotto la pressione di un ricatto o con la lusinga di un premio. Quella lotta titanica sembrava una lotta gigiona e donchisciottesca contro i mulini a vento. Invece era un combattimento civile che ci diceva che cosa stiamo rischiando di diventare. A suo sostegno non valse la pubblicazione di libri di grande spessore scientifico e politico come “Il vecchio che non muore”, “Di sconfitta in sconfitta”, “Dei dolori e delle pene”, tutti dedicati da Vincenzo ad una critica serrata, ma mai rabbiosa delle istituzioni totali, siano esse il carcere o l'isolamento sociale della vecchiaia.
In soccorso di Nadia e Vincenzo è venuta Sabina Rossa, oggi deputata del Pd, e figlia del sindacalista genovese ucciso da un agguato delle Brigate Rosse. Sabina ha incontrato i due detenuti. Il loro colloquio non è stato dato in pasto alla ferocia dei media, ma al suo termine, Sabina ha preso la decisione unilaterale di informare il Tribunale del suo parere favorevole alla liberazione del detenuto risultato tra i responsabili della morte del padre. Dopo molti dinieghi, quando anche l'ultima speranza sembrava definitivamente tramontata, la richiesta è stata accolta e il giorno del ritorno alla vita civile è finalmente venuto in una bella giornata di aprile.
Ora, semplicemente mi auguro che Nadia e Vincenzo possano vivere in pace. Ma, in mezzo a tanti vittimismi del più volgare tra i potenti che hanno governato l'Italia repubblicana, non posso non esprimere la mia ammirazione e la mia gratitudine per il doppio buon esempio che ci hanno fornito Nadia Ponti e Vincenzo Guagliardo da un lato, e Sabina Rossa dall'altro. I primi hanno cercato il loro riscatto con l'arma sorprendente della serenità, del dialogo e del lavoro. La seconda, dichiarando che la liberazione di Nadia e Vincenzo è un “atto di civiltà”, ci spiega quel che dovremmo già aver imparato in mille altre occasioni: la vendetta scava nelle carni ma fa scorrere altra violenza, mentre la via del dialogo è una fatica che apre le porte di un futuro migliore, cioè finalmente affrancato dal fascino della barbarie che torna a suggestionare il mondo contemporaneo (se mai ha smesso di farlo).
Mario Dellacqua
Primo Maggio a Torino e rivedo tanti amici ed amiche, compagne e compagni rifondaroli. In via Roma un gruppo guidato dal segretario pdci Mao Calliano grida che Berlusconi, Bossi e Fini faranno la fine di Mussolini. Niente, ormai è un classico. Non mi scandalizzo. Le solite immagini iperboliche. Sai come sono gli slogan. Spero solo, domani, di non fare la fine che Mao Calliano ha fatto oggi, nell'attesa di conoscere l'autorevolezza del Tribunale e del plotone di esecuzione che egli si accinge a comandare. Con non tanta cordialità. Mario Dellacqua
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