Se
i protagonisti della sconfitta possono guidare anche la riscossa, i
parlamentari eletti con Leu devono rimanere al loro posto.
Naturalmente per “ricostruire”, “aprirsi”, “radicarsi sul
territorio e nelle lotte sociali”. “Ricominciare”, ma
soprattutto riproporsi. Invece, le loro dimissioni aprirebbero una
stagione di ricerca creativa e più libera. Invece di chiederlo ad
altri, servirebbe dare in proprio il buon esempio offrendo un segnale
di discontinuità: proprio quello che non si è voluto lanciare
durante una campagna elettorale stanca e demotivata a causa della
composizione contrattata delle liste.
Chi c’era, ha operato per la
riconferma. Chi non c’era, ha finito per assomigliare a uno che
sgomitava per entrare.
Un
gruppo parlamentare ampiamente rinnovato potrebbe lanciare un altro
utile messaggio di rottura. Tale sarebbe l’offerta di un sostegno
unilaterale all’avvio di un governo a cinque stelle. Nessuna
poltrona da contrattare, ma alcuni punti programmatici da concordare:
misure per il lavoro e per la progressività fiscale, ad esempio. In
prospettiva, un’alleanza che sfidi tutti a trasformare le
rappresentanze acquisite in energie della democrazia partecipativa.
Fin qui abbiamo visto il contrario. La democrazia partecipativa,
unico strumento per migliorare la vita quotidiana delle classi
subalterne, è stata svuotata e sostituita dalla delega, dal tifo,
dalla lotta per contare i voti, i consiglieri, gli assessori, i
sindaci, i parlamentari.
E
poi ci sono quelli che festeggiano, sono contenti di aver rotto
l’isolamento con l’un per cento, assicurano che oggi tocca ai
cinque stelle, domani a loro eccetera. Mi ricordano quel tale di
Gaetano Salvemini, che si aggiustava il nodo della cravatta mentre
precipitava dal campanile di Giotto.
Mario
Dellacqua
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