Care amiche e cari amici, care compagne e cari compagni,
mi dicono dal Ministero di non ripetere sempre le stesse cose, ma non so se vi ricordate. Per me l’essenziale non è cambiato. Conserva intatta la sua attualità e la sua capacità di alimentare l’impegno presente e di illuminare le prospettive per il futuro. Ripeto che si lavora così duramente, a ritmi così intensi e stressanti perché ciascuno di noi nel suo piccolo, contribuisce a costruire un momento in cui le tradizioni del pensiero anarchico, comunista, socialista, popolare, ambientalista e pacifista del Novecento si incontrano e si mescolano per tradursi in opere concrete di solidarietà sociale, per migliorare la qualità della vita quotidiana a None, per promuovere la cooperazione con i popoli oppressi. Guardando lontano non perdiamo la capacità di vedere vicino e anzi aguzziamo la vista. Per questo le sconfitte elettorali ci amareggiano, ma non ci piegano. Certo, ci devono indurre a riflessioni non ordinarie e a correzioni non burocratiche. La litigiosità della sinistra ci disarma e ci esclude. Non può più essere curata con i richiami alle identità delle falci e dei martelli. Non può più salvarsi rincorrendo un’impossibile rivincita elettorale. Noi abbiamo imparato a legare le ragioni del nostro persistente e fiducioso impegno non all’aumento o alla diminuzione dei voti. La litigiosità della sinistra annulla le buone ragioni che alimentano le sue sacrosante richieste di ridistribuire la ricchezza, di riformare l’economia conciliandola con l’austerità dei consumi e con il rispetto della natura, di promuovere la pace e l’uguaglianza tra i popoli raccogliendo la sfida che viene dall’immigrazione. Noi crediamo nell’umanità e nella legalità, non nella violenza dei fili spinati. Non ci sentiamo rassicurati dai respingimenti e dalle espulsioni a danno dei poveri cristi che hanno l’unica colpa di voler fuggire dalla guerra o dalla fame. Non dimentichiamo che anche i nostri nonni e noi stessi siamo emigrati. Quelli non hanno nessuna colpa se sono nati là, mentre noi non abbiamo alcun merito per essere nati qua. Dunque, non facciamo i furbi e apprestiamoci alla fatica dell’integrazione, perché da questa fatica dipende il futuro della civiltà e della vivibilità delle nostre case, del nostro vicinato, delle nostre scuole, dei nostri ospedali, dei nostri mercati, dei nostri luoghi di lavoro e delle nostre strade.
Siamo orgogliosi del nostro sud, delle terre povere e dei mestieri da cui provengono molti di noi, dei nostri asini e delle nostre caprette, delle falci e dei martelli che i nostri nonni e genitori hanno adoperato nelle fabbriche e nella campagne del nord per ricostruire l’Italia dopo aver patito e attraversato la guerra del nazifascismo. Abbiamo saputo progredire. Ci siamo emancipati dalle dipendenze clientelari. Ci siamo istruiti. Abbiamo difeso la dignità del nostro lavoro nella fabbrica, nell’ufficio, nella scuola, nella pubblica amministrazione, nell’artigianato. Abbiamo tante volte perso e tante volte sbagliato, ma non siamo voltagabbana. Non sentiamo il bisogno di salire sul carro del vincitore. Soprattutto, non siamo reduci dal nulla.
La nostra gioia e la nostra forza sta nel lavoro gratuito, volontario e liberamente scelto. Questo ci fa superare le sconfitte e i momenti inevitabili di tensione che si creano tra di noi. Sappiamo che c’è in ognuno di noi una parte ingiusta, egoista, pettegola e vile. Durante la festa questa parte viene sconfitta dall’affiorare delle risorse morali della generosità, dell’altruismo, della tolleranza che in uguale quantità è nascosta in ciascuno di noi. Bisogna saper costruire momenti in cui la parte migliore possa prevalere. E bisogna essere tolleranti: i difetti degli altri sono lo specchio dei nostri.
Aggiungo che non bisogna vergognarsi degli errori che abbiamo commesso. Gli errori o i motivi di contrasto non vanno taciuti. I veri amici le cose se le dicono in faccia e non alle spalle. Certo questo comporta una fatica, perché come dimostrano le recenti vicende elettorali nonesi, sarebbe stato più comodo evitare la sofferenza di certe lacerazioni in nome del quieto vivere, dell’unità che ci avrebbe fruttato qualche vantaggio di partito, qualche posto sicuro. Abbiamo preferito rischiare l’asprezza della parola e ci teniamo i nostri torti e le nostre ragioni. Sono convinto che solo la chiarezza e la franchezza della dialettica sanno tenere aperti gli spazi dell’unità. Il resto è “detto non detto”, è il rinvio di una faticosa mediazione, è ambiguità ed ammiccamento. E’ il sottinteso che costruisce sulla sabbia e prepara le frane più ingloriose.
Nelle organizzazioni del movimento operaio e socialista, nessuno può pretendere di avere carta bianca e di decidere su tutti gli altri. Gli amici e compagni che ragionano ancora così vanno aiutati a capire che dalle nostre parti vale l’apprendistato del “comandare obbedendo”. Così noi combattiamo le gerarchie e costruiamo l’uguaglianza nelle nostre relazioni, senza poteri e privilegi.
Guardatevi indietro e poi interrogate la vostra coscienza: la storia del socialismo, specie quello che ha preso il potere, è una storia di fallimenti economici e di repressione delle libertà democratiche. Tuttavia, rovistando nel cumulo di macerie che il comunismo del Novecento ha lasciato sul terreno, un messaggio resta valido, ci illumina, si salva e ci può salvare: l’emancipazione dei lavoratori sarà opera dei lavoratori medesimi, nessun diritto senza doveri e nessun dovere senza diritti, l’emancipazione non scende dall’alto, ma sale dal basso, con il tempo e con gli altri. Per questo sollecitiamo partecipazione, responsabilità, libertà, istruzione continua.
Vogliamo uomini liberi e protagonisti consapevoli. Non tifosi. Non clienti.
Però qualcosa si muove nella direzione giusta.
Quando i giovani dell’Oratorio e della None Pro Loco organizzano una partita di calcio e destinano 441 euro alla fondazione dell’Orso per i lavoratori minacciati dalla disoccupazione, non mi colpiscono solo al cuore per l’omaggio alla memoria di un amico che per me è stato come un secondo padre al quale devo gran parte della mia istruzione, del mio apprendistato e della mia formazione politica. Essi mi dicono che siamo sulla strada giusta. Oggi le vie dell’impegno politico non presuppongono necessariamente un’appartenenza di partito, ma possono trovare sempre il modo di esprimersi con una felicità e spontaneità unilaterale che esclude ogni trattativa e scommette sull’effetto contagioso che una buona azione può avere.
Quando Donato, con la sua umiltà ammirata da tutti, riesce a vendere tutti i biglietti della sottoscrizione a premi, penso che siamo sulla strada giusta perché quelli che li comprano sanno che siamo diventati negli anni un centro di raccolta di solidarietà concreta e cominciano a stimare la nostra opera. Dobbiamo continuare.
Quando in questo angolo non ottuso un gruppo di donne e di uomini stranieri imparano le lettere dell’alfabeto alla scuola di Domenico Bastino con una determinazione commovente, mi rendo conto che siamo sulla strada giusta perché mi sembra di vedere uscire dalle fotografie, dal mito e dall’iconografia l’atmosfera di laboriosità per l’emancipazione e per l’istruzione che animava le scuole popolari del primo novecento. E’ lì che è nato il socialismo di cui oggi abbiamo bisogno come il pane. E’ guardando quelle facce così diverse dalle nostre che mi rendo conto che il futuro sta nelle nostre origini. Non mi monto la testa proprio adesso a 56 anni. Siamo una realtà di piccoli numeri che possono moltiplicarsi se sapremo sfruttare le possibilità offerteci dalla generosità di compagni come Orso che hanno risparmiato in tutta una vita di sobrietà per affidarci i loro beni e sfidarci ad amministrarli con intelligenza, gioia e rigore. Perciò dobbiamo allargare, approfondire, moltiplicare le nostre relazioni sociali con i tanti che aspettano da noi un aiuto, un investimento, una fiducia, un ruolo utile. Noi siamo alla ricerca di costruttori del miglioramento collettivo della vita quotidiana. Non abbiamo paura, perché dal poeta Galeano, che tanto era amato da Renato Lattes, abbiamo imparato che l’utopia è come l’orizzonte: cammino due passi e si allontana due passi. Cammino dieci passi e si allontana dieci passi. L’orizzonte è irraggiungibile. E allora a cosa serve l’utopia? Serve per continuare a camminare. E da Bruno Trentin ho imparato che l’utopia concreta della democratizzazione della vita quotidiana è la frontiera del nostro nuovo modo di fare politica. E da Martin Lutero ho imparato a rimettere tutto a Dio perché tutto gli appartiene, ma anche a darmi da fare come se tutto dipendesse da me. E invece so anche che, come diceva Guevara ai figli, da solo ciascuno di noi non vale niente. Già Leopardi diceva che gli individui non sono mai virtuosi, solo le moltitudini sono virtuose. E io stesso non potrei qui provare l’impagabile felicità di parlarvi senza il vostro lavoro, senza la vostra libertà che vi ha fatto scegliere di prendere giorni di ferie, di vegliare di notte, di devastare le vostre case e le vostre giornate come in un trasloco, di affrontare le inevitabili tensioni o incomprensioni che accompagnano solo chi lavora e si mette in gioco.
Il giudizio sui conti, sull’organizzazione, sugli errori da non ripetere e sui comportamenti da correggere, sulla destinazione dei fondi, sulle prospettive è nelle vostre mani. Senza distinzione tra iscritti e non iscritti, perché è il lavoro che dà dignità e peso al diritto di parola. Per quanto riguarda gli importi prospetto alcuni ragionamenti illuminati dalla scintilla del dubbio, questo roditore dell’anima. Ricordo che nella riunione del 17 marzo abbiamo deciso di destinare 500 euro all’Amref, perché ci sentiamo in dovere di sostenere l’opera dell’associazione africana di Giuseppe Migliore che ha contribuito con una generosità possente ai lavori della festa in un settore decisivo come quello della cucina. Faccio presente la necessità di confermare il nostro sostegno a Mehlab che unisce None all’Eritrea in un legame ormai famigliare con tanta parte dei nonesi, credenti e non credenti. A Mehlab hanno bisogno di tutto, è venuto a dirci padre Mattewos, e possono contare quasi esclusivamente sul sostegno nonese. Chiedo all’assemblea di valutare un contributo anche a Italia-Cuba, che da anni vivacizza la festa e la sprovincializza gettando uno sguardo sui problemi dell’America latina, come Amref fa con l’Africa. Occorrerà poi tenere conto che quest’anno due nuove tensostrutture hanno reso più accogliente l’impatto visivo dell’area di via Faunasco. Un grande risparmio è stato raggiunto grazie all’interessamento tenace dell’Auser con cui è ormai consolidato un progetto di collaborazione e di solidarietà risalente a una nostra iniziativa del 2002. Occorrerà tenere conto, nella definizione degli importi, che l’anno scorso la destinazione di mille euro è rimasta invariata grazie al versamento del contributo di 600 euro di Teresa Vigliotta (in totale nel quinquennio del suo mandato amministrativo 1800 euro) e grazie alla sottoscrizione di mille euro di un anonimo sostenitore delle festa. Per la formulazione delle proposte attendo la relazione contabile e la discussione successiva che sollecito e mi auguro supportata da pacati argomenti.
Per il futuro, il mio parere è che la festa debba accentuare sempre più le sue caratteristiche di apertura. La festainrosso è nata da Rifondazione comunista, ma vive grazie al calore dell’apporto che respiriamo tutti gli anni quando la vediamo frequentata da uomini e donne di tutti i mestieri e di tutte le fedi politiche e religiose. Ciascuno a suo modo apprezza il nostro impegno per promuovere la solidarietà con l’Auser e con la comunità di Mehlab in Eritrea.
Il mio parere è che i lavoratori della festainrosso, nel corso dell’anno, devono avere l’opportunità di incontri e di viaggi a prezzi molto agevolati, specie per le famiglie, che permettano in un colpo solo di star bene (cioè mangiare e bere bene), di soggiornare in posti belli o nuovi, di istruirsi e di formarsi una preparazione politica. Qualcosa abbiamo già fatto nelle serate che abbiamo organizzato l’11 novembre 2006 sull’invasione di Ungheria del 1956 con Claudio Canal e Francesca Spano e il 23 marzo 2007 sull’ICI con Gian Piero Clement. e su don Milani il 27 ottobre 2007, con il viaggio a Mauthausen del 1 maggio 2008 in collaborazione con il Mondo, l’Auser e Liberamente, con la partecipazione di Andrea, Fabrizio e Jacopo al seminario delle Acli a Cesana il 17-20 luglio dedicato al tempo di lavoro e al tempo di vita. E poi ancora con il pellegrinaggio al Museo Cervi del 24 ottobre 2008, con il viaggio di fine aprile al Bernina. Abbiamo in programma un convegno su Primo Mazzolari in ottobre che può raccogliere la collaborazione di una pluralità di voci nonesi e non solo nonesi. Liberamente, il Mondo, Nonunomanoi, la Fondazione Vera Nocentini, l’Auser. Idem si può dire di un altro viaggio di istruzione a settembre nelle Langhe della Resistenza.
Dobbiamo intensificare questi incontri e renderli gratificanti con buone letture, buona musica e buone bottiglie, caffè equosolidale.
Noi abbiamo bisogno di costruire altre occasioni piacevoli, costruttive e gratificanti per stare insieme, ancora crescere e sempre imparare. Abbiamo un grande bisogno e un grande piacere di conoscerci, di parlarci, di capirci, di stare allegri. Fateci caso, anzi pensiamoci non per caso: questo nostro grande bisogno è il vero bisogno nascosto e insoddisfatto che rende avara e arida la vita di tante persone che incontriamo tutti i giorni. E’ un bisogno che non si misura sempre in soldi. Il loro bisogno è lo stesso bisogno che può incontrarsi con il nostro.
Un affettuoso e commosso abbraccio da Mario Dellacqua
None, 19 giugno 2009
L’assemblea dei lavoratori della 19° festainrosso a None si è riunita venerdì 19 aprile all’Angolo non ottuso di via Roma 11. Ha esaminato il bilancio della manifestazione e deciso quest’anno di destinare
RispondiElimina1500 euro a Mehlab
1500 euro all’Auser
500 euro all’Amref.
Si ringraziano i cittadini di ogni condizione sociale e di ogni fede politica e religiosa che hanno permesso con il loro contributo il successo delle tre serate.