lunedì 30 settembre 2013

LA RIVOLUZIONE NELLA VITA QUOTIDIANA E NELLA LIBERTA' DELLA PERSONA UMANA

Fra il 1956 e il 1968, anno di pubblicazione di questa “Democrazia della vita quotidiana”, il movimento comunista europeo non si era ancora ripreso dal formidabile uno-due che l'aveva messo al tappeto: proprio fuori combattimento.
Di Stalin, l'artefice della sconfitta del nazifascismo, Kruscev aveva denunciato in febbraio, con un rapporto segreto al XX Congresso del Pcus, crimini e culto della personalità. Le giovani generazioni comuniste ne ricavarono l'avida speranza in un moto di autoriforma democratica del regime sovietico. Ma nell'inverno gelido di Budapest i carri armati russi avevano schiacciato il pulcino nell'uovo.
Eppure la congiuntura internazionale sembrava favorevole al superamento della guerra fredda, grazie al carisma in parallelo di Papa Giovanni e di Kennedy. La repressione armata della primavera di Praga nella tarda estate del 1968 spense l'ennesima illusione.
L'ungherese Gyorgy Lukàcs non si rassegnò alle semplificazioni, rifiutò di trovare nei complotti e nei tradimenti la spiegazione della dèbacle e gettò le basi di un “rinascimento marxiano” di cui sono state protagoniste non pacificate le anime più vive del comunismo europeo. I loro percorsi ed i loro esiti furono disparati per non dire aspramente conflittuali. Nel 1959 a Bad Godesberg, il rovello della libertà portò la SPD a sentenziare che per tosare la pecora bisogna nutrirla. Disse di preferire il mercato dovunque è possibile. Previde l'intervento dello Stato solo se necessario. Ma, meno di dieci anni dopo, le giovani generazioni ribelli dell'Occidente liberale e opulento misero in discussione nelle fabbriche, nella scuola, nella famiglia e nelle chiese il primato del profitto, l'ideologia del consumo, la mercificazione della vita.
In quelle turbolenze eretiche, Lukàcs vide aprirsi un varco per il vecchio Marx, a condizione che lo si liberasse da insopportabili incrostazioni dogmatiche e da catechistiche fedeltà scolastiche. La sua riflessione non si accontentò di condannare il culto della personalità, ma demolì alla radice il modello stalinista del partito-Stato. Non credette a chi voleva attribuire tutto il male agli sbalorditivi difetti di un uomo alle cui eccezionali qualità fino a pochi mesi prima era attribuito tutto il bene possibile.  Riportò in primo piano la libertà della persona umana insieme con una critica radicale del concetto liberalborghese della libertà: la mia libertà non vede un limite, una minaccia o un ostacolo nella libertà dell'altro, perchè considera la libertà dell'altro il requisito vitale per l'estensione, il compimento, la realizzazione  della mia stessa libertà (p.46). Nel Manifesto comunista Marx ed Engels avevano scritto che “il libero sviluppo di ciascuno è condizione del libero sviluppo di tutti”.
Alla conquista del potere come conquista del Palazzo d'Inverno (nell'accezione leninista), come statalizzazione dei mezzi di produzione o come occupazione della stanza dei bottoni (nell'accezione socialdemocratica), Lukàcs preferiva la democratizzazione della vita quotidiana. La formula non c'entra niente con la moderazione che contrappone la velocità alla pazienza, anche se nel movimento socialista, come diceva Salvemini, sono sempre stati numerosi coloro che non sapevano che cosa volevano, ma lo volevano subito. E non c'entra solo la necessaria accettazione della gradualità che discende dalla consapevolezza che nessuna conquista egualitaria, per quanto sacrosanta, può resistere se imposta con la forza e non con il consenso. Piuttosto, al centro della preoccupazione di Lukàcs, c'è la persuasione che le trasformazioni devono incidere nella sfera dell'economia e della produzione: lì sorgono le disuguaglianze che minacciano le libertà individuali e collettive.  Su questo terreno si è consumato il fallimento del modello di socialismo instaurato in Unione Sovietica  a cui , tuttavia, il mondo deve riconoscere il merito di aver impedito che l'Europa si trasformasse in un Reich hitleriano (p.101).
Il controllo sociale e la direzione collettiva della produzione richiedono però una mobilitazione permanente dei lavoratori per il miglioramento della loro vita quotidiana: “il divenir uomo dell'uomo può essere soltanto opera sua, e però opera sua sociale” capace di superare “l'ultima, evolutissima forma di antiumanismo (l'altro uomo come limite, come mero oggetto, come possibile avversario o nemico per la propria prassi autorealizzativa)”. (p. 136-137).

Mario Dellacqua





G. LUKACS, La democrazia della vita quotidiana, Manifestolibri, 2013, p. 159, euro 22.

Nessun commento:

Posta un commento