martedì 25 aprile 2017

un 25 aprile con l'anpi

mattino


Nel suo primo discorso al Parlamento dopo la marcia su Roma, il 16 novembre 1922, Benito Mussolini affermava, fra le altre cose: “non posso non ricordare con simpatia l’atteggiamento delle masse lavoratrici italiane che hanno confortato il moto fascista colla loro attiva o passiva solidarietà”. Questa “passiva solidarietà” è stata uno dei fondamenti dell’intero ventennio fascista. Infatti non solo chi ha appoggiato Mussolini, ma anche coloro che se ne sono disinteressati – che hanno detto “me ne frego!” – hanno contribuito alla vita del fascismo in Italia. Dopo il 22 Mussolini fece come è noto la sua carriera politica; non fu una rivolta popolare a sottrargli il potere, ma una congiura di palazzo, esclusivamente a causa dell’esito disastroso della guerra. Se la guerra fosse andata bene, se Mussolini avesse avuto i successi militari che sperava (e insieme a lui molti italiani), il fascismo sarebbe rimasto in piedi.



Dopo l’8 settembre 1943 ci furono uomini e donne che decisero di uscire da questa passività e non aspettare aiuto dall’alto, unendosi alla pari nella lotta all’invasore tedesco e ai suoi alleati fascisti. Piero Calamandrei, in una sua famosa poesia dal titolo Ora e sempre resistenza, chiama questa unione un “patto / giurato fra uomini liberi che volontari si adunarono / per dignità non per odio / decisi a riscattare la vergogna e il terrore del mondo”. Credo che sia questo uno dei punti centrali del messaggio che la festa del 25 aprile può ancora portare. Questi uomini e queste donne non aspettarono ordini, non lasciarono decidere il Capo, ma fecero delle scelte: più o meno costose e pericolose, più o meno eroiche, ma delle scelte che avevano al centro l’idea di un’Italia migliore, più dignitosa di quella che si era alleata con il criminale regime hitleriano e aveva mandato migliaia di soldati a morire macellati in Nordafrica, nei Balcani, in Russia, in una guerra di aggressione che in nessun modo si può definire patriottica e che causò sofferenze e morte a milioni di soldati e di civili, fra i quali anche alcuni nonesi. Una guerra che rese i soldati d’Italia complici di quanto le truppe tedesche facevano ad Auschwitz, a Treblinka, a San Sabba e in tutte le decine di altri campi di concentramento e di sterminio. Mi sembra doveroso dire, come fece don Lorenzo Milani nella sua lettera dal titolo L’obbedienza non è più una virtù: “preghiamo per quegli infelici che, avvelenati senza loro colpa da una propaganda d'odio, si son sacrificati per il solo malinteso ideale di Patria calpestando senza avvedersene ogni altro nobile ideale umano”. 



Anche oggi, in questo preciso momento, siamo chiamati a fare delle scelte e a decidere che cosa sia dignitoso di ciò che accade intorno a noi, a interrogarci su cosa sia in questo momento la patria, interrogarci sulle cose delle quali ci rendiamo complici con la nostra passività, con il nostro stare a guardare. Gli uomini e le donne della Resistenza si unirono per “riscattare la vergogna e il terrore del mondo”, dice Calamandrei. Qual è oggi la vergogna, quale il terrore che resta da riscattare a noi italiani e alle nostre istituzioni? Stanno davanti ai nostri occhi: sono i problemi del lavoro, l’allargamento della forbice fra ricchi e poveri, la povertà che si diffonde; la difficoltà di vedere delle prospettive per i nostri figli; le disuguaglianze fra nord e sud del paese; la disaffezione alla cosa pubblica; la tragedia dei migranti, che ci spaventa perché tocca le nostre sicurezze e ci fa dimenticare che si tratta di esseri umani con i nostri stessi diritti. Anche qui siamo chiamati a scegliere, ad attivarci e a partecipare. Siamo chiamati anche a sognare: per esempio che None entri davvero in Europa; ma un’Europa con un’anima, un’Europa di cittadini. Siamo chiamati a sognare il superamento dell’idea di patria, e a riconoscere un compatriota in qualsiasi altro essere umano, specialmente se oppresso o sofferente. 



Viva il 25 aprile, viva gli italiani che scelgono, viva l’Italia liberata! 



Massimo Bonifazio



pomeriggio

Il 26 giugno del 1967 muore a Firenze don Lorenzo Milani, il prete educatore e contestatore di un sistema scolastico che ancora oggi fa fatica ad essere davvero utile a chi ne ha più bisogno. Siamo prossimi dunque al cinquantesimo anniversario della sua morte. Due anni prima, nell’ambito di una lunga ed appassionata lettera di difesa del nascente ed ancora illegale movimento degli obiettori di coscienza al servizio militare, aveva osato una dissacrante rilettura degli eventi bellici in cui era risultata coinvolta l’Italia tra la seconda metà dell’Ottocento e la prima metà del Novecento, che gli sarebbe costato un processo per apologia di reato. Vi propongo di utilizzare proprio quella lettera per distillare alcuni degli altri anniversari che ci si stagliano di fronte:

1917
È passato ormai un secolo dall’anno della battaglia di Caporetto, il più difficile per l’Italia durante la Grande Guerra. Il 24 maggio del 1915, dopo un periodo di apparente neutralità e di trattative segrete con Francia, Inghilterra e Russia, l’Italia aggredì l’Impero austro-ungarico, con cui formalmente risultava alleata nell’ambito della Triplice Alleanza che includeva anche la Germania. In tutto gli italiani a morire furono 650.000 e i feriti almeno un milione, su un totale di almeno 16 milioni di vittime e più di 20 milioni di feriti. Papa Benedetto XV la definì un’inutile strage e io credo fosse nel giusto.
Sono almeno 37 i giovani nonesi che vi persero la vita. Li dobbiamo celebrare come eroi? O più modestamente ed onestamente ricordare con rispetto quale carne da macello della politica estera giolittiana? Quel Giolitti che, come afferma don Milani, “aveva la certezza di poter ottenere gratis quello che poi fu ottenuto con 600.000 morti”?

1922
Sono passati 95 anni dalla Marcia su Roma. Secondo don Lorenzo “era nel ’22 che bisognava difendere la Patria aggredita. Ma l’esercito non la difese. Stette ad aspettare gli ordini che non vennero. [...] Così la Patria andò in mano ad un pugno di criminali (i fascisti, ndr) che violò ogni legge umana e divina e, riempiendosi la bocca della parola Patria, condusse la Patria allo sfacelo.”

1945
Sono passati 72 anni dalla fine della II Guerra Mondiale che per quanto riguarda l’Italia iniziò come guerra fascista di aggressione a Francia, Albania, Grecia, Egitto, Jugoslavia e Russia al fianco della Germania nazista di Adolf Hitler. Come asserito da don Milani “poi per grazia di Dio la nostra Patria perse l’ingiusta guerra che aveva scatenato”. Ed il conflitto in Italia finì per assumere la forma di una guerra civile tra partigiani e fascisti e contestualmente quella di una guerra di liberazione dall’occupazione militare tedesca. Sempre secondo don Lorenzo in “cento anni di storia italiana” che volle passare al setaccio “c’è stata anche una guerra “giusta” (se guerra giusta esiste). L’unica (dal 1860, ndr) che non fosse offesa delle altrui Patrie, ma difesa della nostra: la guerra partigiana.” Con “civili” e “soldati che avevano obiettato” da un lato, “militari che avevano obbedito” dall’altro. I primi furono coloro che realizzarono e sostennero la Resistenza e che in questo modo, al di là di molti errori e di alcuni orrori, si posero oggettivamente dalla parte giusta della Storia. Alcuni si comportarono da eroi, per la maggior parte fecero comunque il loro dovere di uomini liberi meritando ancora oggi la nostra riconoscenza di cittadini italiani di una Repubblica finalmente democratica.

1947
E' il settantesimo anniversario dell’anno in cui viene redatta la Costituzione della nostra Repubblica. Riferendosi ad essa il prete di Barbiana fa notare che all’articolo 52 c’è scritto che “la difesa della Patria è sacro dovere del cittadino” ma anche che tra i principi fondamentali della stessa, all’articolo 11, si legge che “l’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli...”. Al gruppo di cappellani militari che esaltano la Patria e il concetto di obbedienza militare assoluta, insultando gli obiettori di coscienza, don Milani si rivolge in questo modo: “se voi però avete il diritto di dividere il mondo in italiani e stranieri allora vi dirò che, nel vostro senso, io non ho Patria e reclamo il diritto di dividere il mondo in diseredati ed oppressi da un lato, privilegiati ed oppressori dall’altro. Gli uni son la mia Patria, gli altri i miei stranieri. E se voi avete il diritto, senza essere richiamati dalla Curia, di insegnare che italiani e stranieri possono lecitamente anzi eroicamente squartarsi a vicenda, allora io reclamo il diritto di dire che anche i poveri possono e debbono combattere i ricchi. [...] (E) le uniche armi che approvo io sono nobili ed incruente: lo sciopero e il voto”.

Proviamo ad immaginare che cosa direbbe oggi don Lorenzo Milani dello strapotere della Finanza e dei Tecnocrati, della degenerazione della Politica e del corrispondente dilagare dell’anti-politica, del gretto riemergere dei nazionalismi nell’ambito di un’Europa senza più anima che, al pari degli altri Paesi occidentali, continua a sfruttare i Paesi del sud del mondo e si illude di chiudersi a riccio nei confronti dell’ondata di migranti che preme ai suoi confini.
Proviamoci e cerchiamo una volta ancora di essere uomini liberi.

Viva la Resistenza, l'Europa e l'Italia liberate!
Buona festa a tutti!

Roberto Cerchio

1 commento:


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