Come opporsi ai fenomeni distinti ma non distanti (anzi complementari) dell’ostilità per lo straniero e della rivalutazione del ventennio fascista in nome dell’obiettività apolitica? Gli uni dicono che il fascismo ha fatto anche cose buone e il vero nemico caso mai è la sostituzione etnica della nostra manodopera con forza lavoro islamica e africana a prezzi stracciati. Gli altri dicono che “loro” ci rubano il lavoro, mangiano senza lavorare, sono perseguitati per finta e “noi”, al massimo, possiamo dividere il benessere conquistato solo se avanza qualcosa.
Sono due galassie turbolente e travolgenti: quando si tratta di spiegare le loro alleanze, la sinistra tira fuori l’ignoranza, i complotti dei poteri forti, il dominio diabolico dei mass media. E’ la grande rimozione, preludio dei peggiori autoinganni che si accontentano di sostituire un conflitto sociopolitico con una pulsione da condannare o una spinta etica da incoraggiare. Prendere sul serio e indagare le ragioni del fascino esercitato dalle ideologie del sovranismo su strati così ampi delle classi subalterne, non è un modo per concedergli attendibilità e legittimazione. E’ il presupposto per combatterlo efficacemente. Parafrasando un Togliatti degli anni ‘30, “non possiamo semplicemente mandarli al diavolo”. Esattamente come, per comprendere il fascismo, dobbiamo esplorare l’impasto ideologico di cui è fabbricata la sua personalità: culto del capo, mito della patria, della giovinezza, della virilità, dell’eroismo, disprezzo dell’individualismo e degli intellettuali, missione purificatrice e educatrice della violenza e della guerra, gerarchia, cameratismo. Persino l’Italia colta che portava la cimice all’occhiello era fatta di silenzi, accomodamenti e dignità sacrificate, ma anche di entusiasmi sinceri per l’uomo nuovo portatore di rigenerazione morale e di civiltà.
Se - anche oggi - la diagnosi riduce tutto ad una devastante malattia di inganni, addio alla prognosi. Non aveva già cominciato Berlusconi a definire la sua Forza Italia partito dell’amore contro la sinistra dell’odio e dell’invidia sociale? Sempre potremo dire che “la virtù è patrimonio dei coglioni”. Già nel 1821 lo sentenziava il glaciale disincanto di Leopardi: “la soddisfazione dei desideri degli uni” comporta “il male” e “l’infelicità” degli altri. Anzi, “lo spirito della legge Giudaica non solo non conteneva l’amore, ma l’odio verso chiunque non era Giudeo” e con “il precetto diliges proximum tuum sicut te ipsum s’intendeva non già i tuoi simili, ma i tuoi connazionali”.
Gli ideali della libertà e della giustizia sociale non tramontano mai. Ci sono delle stagioni in cui avanzano o indietreggiano, vincono, pareggiano o perdono. L’esito della partita dipende dalla qualità delle intelligenze e dall’estensione delle energie democratiche coalizzate che l’umanità sa schierare nel mutare dei contesti. Stracciarsi le vesti per la caduta di ideali, valori, utopie sociali o religiose è un finto (e noioso) esercizio di realismo che nasconde il rassegnato abbandono della contesa.
Veltroni non vuole assecondare questa deriva. L’ex segretario del Pd è ottimista, anche se sa che negli anni ‘70 l’odio è stato propellente di militanza politica. Non crede che tutta l’Italia coincida con le ripugnanti fazioni desiderose di “asfaltarsi” reciprocamente sulle pagine dei social (p. 22 e 78). In alternativa all’odio, Veltroni riscopre il conflitto che combina e non separa l’orgoglio di sé e l’apertura, che sa apprezzare nell’altro il frammento di verità senza la quale non saresti preparato ad un pensiero nuovo (p. 104). D’altra parte, le grandi conquiste del Novecento non sono state opera di leader carismatici, ma di milioni di uomini, donne e ragazzi di tutti i mestieri e di tutte le fedi. Veltroni lo afferma (p. 115-116), ma non approda all’idea che l’attesa e/o l’equivalente nostalgia di un leader sono incompatibili con qualsiasi ripresa della sinistra. Al massimo, si limita a misurare la sconfortante differenza fra la statura di Berlinguer, La Malfa, Craxi, Moro e la mediocrità degli attuali arrampicatori in cerca di simpatia. E depreca P2, corruzione, terrorismo, assalto alla spesa pubblica (p. 77). Non ho detto che non servono buoni leader. Dico che serve una leadership collettiva, impossibile se la società, come nel calcio, rinuncia a coltivare il suo vivaio nel partito come palestra di esperienze sociali, amministrative e culturali.
Il prof. Luciano Canfora è impegnato ad avversare la falange dei minimizzatori: la frequente comparsa di manifestazioni di simpatia per il fascismo, sia nella forma della nostalgia per i riti del ventennio, sia nella forma delle attuali imprese squadriste, quando non confinabili nella ridotta del folklore, sarebbe “un allarme immotivato e strumentale”. I pericoli per la democrazia derivano, come sostiene il prof. Emilio Gentile, non da un’aggressione esterna, ma da un lento e relativamente legale svuotamento dei poteri dei cittadini a presidio dell’uguaglianza. La chiamano “disintermediazione”. In soldoni, partiti, sindacati, enti locali sono senza poteri agli iscritti, senza visioni e programmi alternativi e riconoscibili, senza poteri contrattuali nei luoghi di lavoro, senza risorse per governare la difesa del territorio.
Canfora non ignora i danni provocati dalla scomparsa di quei luoghi di “acculturazione civile” che erano i partiti fondatori della Repubblica, ma obietta che “nel fascismo si sprofonda per slittamenti progressivi”. Ci si può trovare sdegnati a commemorare la “difesa della razza” per naufragare nella palude del “prima gli itagliani”. Lì trovi masse “già avanti nell’isterizzazione contro il falso nemico che ci toglie il lavoro e mangia a nostre spese”. Quando il Papa ricorda che “gli odierni sovranisti parlano come Hitler nel 1934: noi, noi, noi...”, il suo intervento è circondato da uno scrupoloso silenzio.
Con un miliardo di esseri umani in più, la competizione planetaria per la spartizione delle risorse rischia di trovare una risposta convincente solo nell’invito a armarsi di odio e di armi. Una rinnovata sinistra può indicare un’altra strada nella cooperazione strategica dei paesi dell’area euroafricana e nella gestione europea dell’emergenza dei nuovi arrivi.
Un progetto forse utopico, dice Canfora, ma la sua alternativa è la rovina comune delle parti in lotta.
Mario Dellacqua
WALTER VELTRONI, Odiare l’odio, Rizzoli, 2020, pp. 117, euro 10.
LUCIANO CANFORA, Fermare l’odio, Laterza, pp. 66, euro 10.
EMILIO GENTILE, Fascismo. Storia e interpretazione, Corriere della sera, Laterza 2002, pp. 380, euro 8,90.
ANGELO D’ORSI, La cultura a Torino tra le due guerre, Einaudi, 2000, p. 357.
GIACOMO LEOPARDI, Zibaldone, 1710-1712, in MARIO ANDREA RIGONI (a cura di), Giacomo Leopardi. La strage delle illusioni, Adelphi, 1992, pp. 314.