Non so se è una regola fissa. Capita però ai piccoli partiti e ai movimenti politici di pagare con la propria estinzione il coraggio di portare sulle proprie spalle il peso di problemi soverchianti. Quando il peso li schiaccia, il patrimonio che hanno acquisito con la loro paziente e minoritaria elaborazione un po’ evapora, un po’ marcisce, un po’ viene superficialmente rimosso. Un po’ emigra verso formazioni più grandi che risolvono, aggravano o ritrovano l’antico rovello.
Che questo fosse il caso dei Cristiano Sociali, lo pensavo già dopo aver letto gli scritti curati da Claudio Sardo in occasione dei novant’anni di Domenico Rosati. Il sospetto si è rinvigorito dopo il mio incontro con la “Storia dei Cristiano Sociali 1993-2017” curata sempre da Claudio Sardo insieme con Carlo Felice Casula e Mimmo Lucà: quest’ultimo nella doppia veste di protagonista e ricostruttore di quella ventennale esperienza politica.
Il titolo - “Da credenti nella sinistra” - sintetizza l’obiettivo storico che quel movimento si prefiggeva fin dal suo nascere. Dopo Tangentopoli e la caduta del muro di Berlino, la fine della conventio ad excludendum dei comunisti dal governo offriva l’opportunità di conquistare una democrazia bipolare dell’alternanza. Già, ma a “destra” bisognava evitare, come temeva Pietro Scoppola, che la Chiesa italiana si sentisse sospinta “irrimediabilmente verso una destra senza storia vanificando lo sforzo di due generazioni di democratici cristiani, da De Gasperi a Moro”. E, nello stesso tempo, bisognava chiarire la questione della laicità, ovvero del rapporto tra autonomia del cattolicesimo democratico e dottrina della Chiesa amministrata dall’autorità della gerarchia.
A “sinistra”, andava salvaguardata la tensione ideale e programmatica verso l’uguaglianza, mentre andava incoraggiato il congedo degli eredi del comunismo italiano dal mito della rivoluzione: li aveva esclusi dal governo non il divieto americano, ma un’alleanza duratura, convincente e popolare fra chi temeva per la libertà di tutti e chi temeva per la propria proprietà.
A DESTRA. Esaurita l’esperienza onnicomprensiva della Democrazia cristiana, occorreva giocoforza riprendersi dalla traumatica consumazione dell’unità politica dei cattolici. Costretti alla diaspora, bisognava animare da protagonisti la ricomposizione. Un compito da far tremare le vene e i polsi. Si trattava di affermare una laicità che battesse in breccia il progetto di trasformare la religione cristiana in religione civile. Così la CEI guidata da Camillo Ruini avrebbe voluto illuminare la rigenerazione della società, in dialogo preferenziale con un centrodestra magari fiancheggiato da una galassia di cooperative e di associazioni bianche non solo cielline o cisline. Ma si trattava pure di non cedere alle sirene del laicismo che denunciava in ogni pronunciamento cattolico su bioetica, fecondazione assistita, famiglia o fine vita un’indebita interferenza della gerarchia nelle scelte del Parlamento. I Cristiano Sociali, con santa pazienza, spiegarono sia ad “Avvenire”, sia al cardinale, che i confini dello Stato democratico sono più ampi dei confini delle comunità religiose. Spetta alla dialettica parlamentare il compito di individuare le mediazioni percorribili per concordare indirizzi e regole sul terreno legislativo “in un quadro di forte pluralismo etico”. Principi “non negoziabili” possono essere impartiti alla comunità dei fedeli, non imposti alla comunità multireligiosa della società moderna. E spiegarono alla sinistra influenzata dal pensiero radicale che la laicità del terzo millennio non poteva essere un guinzaglio giacobino imposto per decreto alla libertà delle voci religiose. Cercarono di convincere entrambi che laicità è, all’opposto, affermazione positiva di uguale libertà e dignità per tutte le fedi religiose.
A SINISTRA, era necessario produrre altre rotture per dare un’anima allo schieramento progressista: la questione sociale dell’uguaglianza, stella polare e propellente dell’impegno di Ermanno Gorrieri e Pierre Carniti, è stata gradualmente declassata a “ideologia del livellamento” e a copertura di una “cultura della mediocrità” quando non dell’assistenzialismo parassitario. Tutt’al più si auspicava la ricerca della “pari opportunità di partenza”, ma si lasciava in ombra l’obiettivo di ridurre le disuguaglianze nei punti di arrivo.
I Cristiano sociali dovettero spiegare che la retorica meritocratica dei talenti non aveva armi per far progredire chi andava a fondo nella competizione utile a premiare i migliori: anzi denunciarono che nell’area liberaldemocratica prosperava la segreta convinzione che le disuguaglianze fossero il portato inevitabile di una crescita dell’economia.
I Cristiano sociali invece pensavano che “tormentare i confortati per confortare i tormentati” (come amava ripetere Carniti) non era solo un esercizio risarcitorio di giustizia distributiva, ma era la premessa di un benefico sviluppo sociale. Certo, non si possono far parti uguali tra disuguali, come ripeteva Gorrieri ispirandosi a don Milani: il criterio per misurare la ricchezza e la povertà era il reddito famigliare. E qui cominciarono i dolori anche con gli 80 euro di Renzi, erogati nella stessa misura a nuclei di 3-4 componenti o di un componente solo escludendo soggetti incapienti e del tutto privi di reddito.
L’amnesia consapevole della questione sociale è stata causa di perdita di credibilità della sinistra di governo tra le classi subalterne e le periferie territoriali. La fede indiscussa nelle magnifiche sorti e progressive della modernità ha portato la sinistra a identificare il progresso con il dominio del mercato e del profitto: ha disarmato il suo spirito critico e ha finito per presentare il centrosinistra come espressione dei ceti privilegiati e già tutelati. Difficile contraddire questo amaro bilancio di Mimmo Lucà.
Anche se l’obiettivo di arrivare al Partito democratico è stato organizzativamente raggiunto, molta strada resta da fare sul terreno della revisione delle strategie, dei modelli organizzativi, del regime democratico interno (ma quanto contano gli iscritti?). Il cammino dell’innovazione prospettata dai Cristiano Sociali è sempre irto di ostacoli, ma la storia di questi mesi tormentati conferma necessità e fascino di quell’impegno antico.
Del resto, “laicamente parte e non integralisticamente tutto”, questa era la missione storica che Alfredo Reichlin assegnava al Pd in cui credeva: far risorgere la coscienza nazionale e un nuovo patriottismo attorno ai valori che seppero fondare la Repubblica e scrivere nella Carta Costituzionale l’alto compromesso fra tradizione liberaldemocratica, solidarismo cattolico e pensiero socialista.
Nell’ora straziante del contagio, lo posso dire con le parole di De Gasperi alla Conferenza di Parigi del 10 agosto 1946, dove osò parlare “come rappresentante della nuova Repubblica” appena nata per armonizzare “in sé le aspirazioni umanitarie di Giuseppe Mazzini, le concezioni universalistiche del cristianesimo e le speranze internazionalistiche dei lavoratori”.
Mario Dellacqua
C. F. CASULA – C. SARDO – M. LUCA’, Da credenti nella sinistra. Storia dei Cristiano Sociali 1993-2017, prefazione di Romano Prodi, il Mulino, 2019, p. 385, euro 30.