martedì 24 gennaio 2017

Quando Pirandello ci spiegava le insidie del web






L’Oxford Dictionary, dipartimento della famosa università inglese, ha eletto “post-verità” quale sillogismo dell’anno. Esso esprime la tendenza a considerare la verità un optional. Conoscerla e ricercarla non è più un primario obiettivo, lo sviluppo della scienza, della tecnica ed il flusso continuo di dati che riceviamo, rende verosimile assumere come reali quelle che sono superstizioni o informazioni aleatorie.

Il terreno fertile per la crescita di questa gramigna sono i social. Un habitat costruito per noi , dal quale sempre più spesso siamo attratti, figlio delle nostre abitudini e, come tale, confortante e rassicurante. Un mondo fatto di like e condividi, assolutamente standardizzato che, anziché sollecitare un confronto di idee, narcotizza la capacità critica dell’individuo predisponendolo all'assunzione di quelle realtà falsate, non di rado, spacciate come verità assolute.

Nascono così casi eclatanti di diffidenza verso dati reali e scientifici come le vaccinazioni, è possibile che si creda ad assurde cifre pagate dal Regno Unito alla Comunità Europea determinando la Brexit o ancora alle mirabolanti affermazioni di Trump nella sua vittoriosa campagna elettorale americana. Non vince chi dice la verità ma chi racconta la storia più convincente. Essa tanto più è persuasiva, quanto maggiore è l’emotività che suscita per vicinanza alle nostre idee o ai nostri pregiudizi. Sensazioni ed umori che sollecitano decisioni di “pancia” piuttosto che di mente.

I signori del web come Google o Facebook gestiscono la loro attività attraverso algoritmi. Programmi capaci di registrare miliardi di informazioni semplici, di organizzarle secondo indirizzi logici, che gli stessi gestori immettono, al fine di ottenere un preciso risultato che possiamo facilmente individuare nell'aumento del fatturato. Un processo che passa dalla “profilatura”, ovvero la memorizzazione di tutti i dati personali che volontariamente o meno immettiamo durante la navigazione, dei dati desumibili dalle nostre scelte informative o dalla tipologia delle persone con le quali ci interfacciamo. Un processo che richiederebbe maggiore trasparenza poiché, se notoriamente conosciuto ed accettato, nostro malgrado, ai fini commerciali, fuori da detta sfera, non ultima la politica, crea delle pesanti preoccupazioni circa il concetto di privacy e in generale di democrazia.

Un problema propostoci della modernità? Certamente si in questa specifica forma, non nella sostanza. A questo scopo è utile richiamare gli insegnamenti di un nostro illustre contemporaneo di inizio secolo …. scorso: Luigi Pirandello. Il pensiero centrale della sua opera letteraria e teatrale fu proprio la disamina della verità e dell’apparenza. Comune ai nostri giorni era la crisi economica , l’affermazione di nuove conoscenze, tra cui la psicologia, e con esse la perdita di certezze e il diffondersi di un senso di smarrimento individuale e sociale. Pirandello scrive che allora, come oggi, è predominante la creazione, ognuno secondo la propria ottica, di una realtà individuale, ma non è la verità, è un’opinione. 

Egli coinvolge nelle vicende il proprio lettore e lo spettatore del suo teatro e ne fa un interlocutore protagonista. Alla stessa maniera il moderno navigatore del web, si sente dentro gli avvenimenti, porta avanti la sua verità, inconsapevole di recitare una parte a lui imposta. Egli finisce con l’essere più personaggio che persona e, quando cade la sottile barriera tra vita e rappresentazione, si ritrova “pupo” i cui fili sono nelle mani di un sapiente ”puparo”.

Mario Ruggieri

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