A volte non lo fai apposta. A poca distanza di tempo, può capitarti di leggere libri diversi che sembrano l'uno lo sviluppo e l'approfondimento dell'altro, come se si scambiassero l'indirizzo e ti dicessero dove puoi trovarli insieme a dialogare.
Prendi
“Il tramonto della rivoluzione”
scritto per “Il
Mulino” nel 2015 dal
prof. Paolo Prodi, scomparso a dicembre. Il prestigioso storico e
docente alle Università di Trento, Bologna e Roma, si arrovella ad
interpretare lo scacco subito dalla generazione più giovane che “non
intravede un
futuro migliore
della generazione
che l'ha
preceduta”.
E scopre che essa risponde ai clamorosi fallimenti della modernità cancellando “il passato perchè non vede il futuro”. Questo di tanta speme oggi ci resta, vien da dire. “E' venuta meno la coscienza di una possibile rivoluzione” non solo perchè ci siamo congedati dall'attesa dell'ora X nella versione “laica” della presa del Palazzo d'Inverno o nella versione “religiosa” della palingenetica rigenerazione evangelica (nonostante permanga grande popolarità per madonne, maghi e oroscopi). E' avvenuto un più profondo trauma narcotizzante: appare definitivamente liquidato “un progetto di futuro come cammino dell'umanità verso la salvezza” (p.103).
E pensare che la lunga marcia della modernità era cominciata per l'uomo europeo “nella separazione e nella dialettica fra potere religioso e potere secolare”. Ma questa rottura risale alla Rivoluzione Francese? O alla Riforma protestante? O alla furibonda contesa dell'XI secolo fra Gregorio VII ed Enrico IV per controllare un potere concepito come universale e unitario perchè l'uno e l'altro ne rivendicavano una legittimazione e un'ascendenza religiosa?
E scopre che essa risponde ai clamorosi fallimenti della modernità cancellando “il passato perchè non vede il futuro”. Questo di tanta speme oggi ci resta, vien da dire. “E' venuta meno la coscienza di una possibile rivoluzione” non solo perchè ci siamo congedati dall'attesa dell'ora X nella versione “laica” della presa del Palazzo d'Inverno o nella versione “religiosa” della palingenetica rigenerazione evangelica (nonostante permanga grande popolarità per madonne, maghi e oroscopi). E' avvenuto un più profondo trauma narcotizzante: appare definitivamente liquidato “un progetto di futuro come cammino dell'umanità verso la salvezza” (p.103).
E pensare che la lunga marcia della modernità era cominciata per l'uomo europeo “nella separazione e nella dialettica fra potere religioso e potere secolare”. Ma questa rottura risale alla Rivoluzione Francese? O alla Riforma protestante? O alla furibonda contesa dell'XI secolo fra Gregorio VII ed Enrico IV per controllare un potere concepito come universale e unitario perchè l'uno e l'altro ne rivendicavano una legittimazione e un'ascendenza religiosa?
No.
Nel suo “Occidente senza utopie” scritto
con il filosofo veneziano Massimo Cacciari nel 2016, Paolo Prodi
risale ancora più indietro, e si ferma quando scopre nel racconto
biblico che Jahvè stabilisce con il suo popolo un'alleanza che
presuppone per due distinti soggetti contraenti un impegno da
mantenere. Presto arriva un accidente: quando la Chiesa guida,
governa e si istituzionalizza compaiono i profeti. Sono spesso
inascoltati non perchè vedono il futuro in anticipo, ma perchè non
chiedono a nessuno – e tanto meno ai poteri ecclesiastici – il
permesso di contestare in permanenza le ingiustizie del mondo
dovunque si manifestino. I profeti non temono di disobbedire al
potere e perciò fanno compiere all'umanità i primi passi sulla
strada tortuosa della laicità.
Nel
suo affascinante viaggio attraverso le parole dei Papi, anche il
prof. Alberto Barbero chiama in causa Gregorio VII e lo fa per
spiegare come i poteri della Chiesa si siano indeboliti nella loro
secolare gara per l'autonomia o per l'egemonia con Stati e
imperatori. Si comincia con Enrico IV che va a Canossa per farsi
perdonare la sua insubordinazione. Magari medita di vendicarsi alla
prima occasione, ma preferisce la penitenza ad uno scontro
svantaggioso in quel frangente. Un altro Gregorio chiamerà “bestia”
l'imperatore Federico II e lo accuserà di ignorare “modestia
e pudore”, di
“mentire senza arrossire”. Poi per il
Pontefice venne il momento di ingoiare rospi. Con la pace di
Westfalia del 1648, finì un secolo di sanguinosissime guerre di
religione, ma i sovrani cattolici dovettero riconoscere la libertà
di culto agli eretici di mezza Europa. Nel 1870 Pio IX dovette
ingoiare l'affronto di Porta Pia e di Roma capitale: mise nello
stesso sacco da gettare liberalismo, democrazia e socialismo, ma si
limitò a confessare di “non poter
trattenere le lacrime” di fronte al
successo delle “depravate dottrine degli
empi”. Erano finiti i tempi in cui il
linguaggio dei Papi era quello dell'invettiva.
Con
tutto che la Chiesa rivendica nel tempo il carattere universale e
inossidabile del suo magistero, i Papi del XX secolo non attinsero al
medesimo lessico per fare i conti con Hitler e Mussolini. Eugenio
Pacelli, il segretario di Stato non ancora Pio XII, misurava le
parole con meticolosa prudenza e fece sparire le carte impegnative in
cui il suo predecessore (Pio XI) avrebbe condannato la “follia
omicida e suicida” del nazismo e del
fascismo in ascesa minacciosa (p.82). Come sarebbe andata la storia
del mondo se, ritornato al centro dell'attesa
universale, il Papa non avesse ingoiato il rospo e si fosse invece
ribellato alla derisione del suo ruolo che i totalitarismi
preparavano? Se lo chiedeva Don Primo Mazzolari nel 1941, ma solo
Papa Roncalli pubblicò qualche passo e solo in anni recenti è
stata resa nota l'edizione integrale di quell'intervento.
Con
Papa Francesco tutto sembra cambiato. Le sue parole appartengono ad
un repertorio famigliare e amichevole, ma inusualmente secco e
combattivo, come pervaso dalla convinzione che si può uscire da
condizioni di minoranza solo abbandonando le troppe ipocrisie e i
troppo farmaceutici dosaggi della diplomazia. E poiché sa di aver a
che fare con rocciosi poteri e diffuse pigrizie, questo Papa non
esita a chiedere di “fare casino in
Diocesi”. Ma dov'è questo casino?
All'invito ad uscire dai suoi confini, la Chiesa ha risposto con
tanti applausi e tanta ammirazione. Ma, una volta uscita di casa, si
è fermata a chiacchierare sul pianerottolo.
Mario
Dellacqua
PAOLO
PRODI, Il tramonto
della rivoluzione,
Il Mulino, 2015, pag. 119, euro 11.
PAOLO
PRODI-MASSIMO CACCIARI, Occidente
senza utopie,
Il Mulino, 2016, pag. 141, euro 14.
ALBERTO
BARBERO, Le parole
del papa.
Da Gregorio
VII a
Francesco, Laterza,
pag. 114, euro 16.
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