martedì 10 ottobre 2017

DAI DIARI DI BRUNO TRENTIN: UNA SCISSIONE DI PROVINCIA (3)

Gli oppositori della “furia iconoclastica meramente finalizzata all'ingresso nell'area di governo” (p.106) erano vittime del loro stesso “narcisismo laido” (p.196) e gettavano Trentin tra le braccia di “una voglia tremenda di mollare tutto” (p.144) e di rifugiarsi tra le pipe o tra le rocce di San Candido. Gli sembrava assurdo “il crinale riformismo-neocomunismo” (p.164) che trovava “la sola ragione della convivenza” nella “opportunità offerta per la distruzione dell'altro” o nella “lotta per la spartizione del patrimonio del passato” (p.270 e 277). Considerava “triste” la scelta di Pietro Ingrao catturato da “quattro avventurieri” votatisi a una “scissione casalinga” per un'operazione di potere”(p.167) nella “torbida politica italiana”(p.170).

MORALITA' PERDUTA
Il nocciolo duro e vivo del pensiero di Trentin sta però nell'affermazione che “la moralità della sinistra nasce dalla sua coerenza riformatrice” (p.287). Il messaggio “nella solita bottiglia affidata all'oceano” che nutre la sua “terribile voglia di fuggire e ricominciare” (p.297) approda a una trascurata convinzione: “la famosa questione morale che sta trascinando inevitabilmente la politica nel fango, nella disistima e nel ribrezzo” nasce “dalla sostituzione del progetto riformatore con la governabilità, con l'esercizio del potere come origine e fine della politica”. Questa afonia che mette il “gesto al posto del progetto” (p.346), consegna “la questione morale al servizio di una miserabile lotta fra schieramenti”, per distribuire accuse, poteri e legittimazioni “in attesa di una nuova questione morale” (p.310). Nell'attesa, il conflitto di classe rimane confinato nel suo ambito “meramente distributivo” (p.371) e rimane inalterato “il vecchio assioma” che considera la “redistribuzione dei redditi e dei titoli di proprietà” la strada obbligata per “liberare l'uomo dal lavoro, legittimando la sua fatica con l'accesso al consumo e alla proprietà” (p.453). In questa luce, sia l'azionariato popolare, sia la “formula rigidamente unificante” della riduzione generalizzata dell'orario di lavoro, sia le varie forme escogitabili di reddito minimo garantito, sia le “Humain Relations”, sia la meritocrazia socialista considerano invalicabile il carattere alienato e oppresso del lavoro, ignorano ogni possibilità di un suo mutamento, ghettizzano il non lavoro e nascondono la rinuncia a contrattare interventi graduali per umanizzarlo e per indebolire “il sistema di potere che ne espropria la creatività” (p.402-403-419-459).
Il risultato obbligatorio è l'emersione prepotente del “nemico o del capro espiatorio”, è il  “bisogno della divisione come affermazione disperata della propria identità”, è l'illusione che “l'esibizione di una forza debole e divisa” possa “mutare la condizione di chi, con un suo sacrificio, vi partecipa” (p.323-324). Una volta nel baratro, scompare la funzione del sindacato generale che è “quella di produrre solidarietà”, si considera l'unità sindacale come il nemico da battere perchè “la prova unitaria costringe ad uscire dal particolare” e rompe la base di consenso su cui si regge chi ha scelto un “obiettivo di scissione” (p.337). (CONTINUA)

Mario Dellacqua

I.     ARIEMMA (a cura di), Bruno Trentin Diari 1988-1994, Ediesse, 2017, pag. 482, euro 22.

S. GARAVINI, Ripensare l'illusione, Rubettino, 1999.



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