Ormai è come dire buongiorno e buonasera l'invito a
moderarsi. Cocente delusione in arrivo per i moderati di centrodestra e di
centrosinistra (dovunque trovi brava gente), se per caso leggono i discorsi
pronunciati dal Cardinale Martini a Sant'Ambrogio tra il 1991 e il 2002. Chi
vuole annacquare, rinviare, rimuovere, mercanteggiare, può andare a farsi
benedire. Ma non dal Cardinal Carlo Maria Martini. Il quale non solleva le
consuete lamentazioni contro le “interferenze clericali” nella vita politica
italiana.
Per il più ascoltato tra i pastori milanesi, c'è una
moderazione buona che coincide con il rispetto dell'avversario. Ma c'è un
diffuso pregiudizio da sradicare: quello che assegna ai cattolici il dovere di
distinguersi “sempre e quasi unicamente” per la loro “moderazione”. Invece no.
I cattolici non sono chiamati ad affidare al criterio della maggioranza e “al
consenso democratico la legittimazione etica dei propri valori (p.165 e 152).
Ma non devono temere l'audacia delle “iniziative coraggiose e d'avanguardia”
sui principali temi della polis moderna. Devono essere una minoranza
autorevole e laboriosa che sa conquistare “una visuale positiva”, sa parlare
con i fatti e “non è troppo preoccupata di sbagliare” quando si lancia
nell'impegno creativo per promuovere i più deboli. Questi non sono tempi per
darla vinta alla “accidia politica” (p. 159)
e alle “tentazioni di chiudersi nel presente” (p.75) perchè “chi si
isola è destinato a fuggire all'infinito” (p.223). E' ora invece di “pensare
politicamente in grande” (p.149).
Uno dei terreni su cui i cattolici sono chiamati ad
un esercizio combinato di radicalità e di pazienza è quello franoso e roccioso
della legislazione familiare.
Il presule ambrosiano è molto radicale nel ricordare
che la dottrina evangelica valorizza i legami famigliari e “l'unità
indissolubile tra uomo e donna”, ma mette in questione “una rigida cultura dei
legami familiari e di clan”. E' il Vangelo di Matteo a dire che “chi ama il
padre e la madre più di me non è degno di me” (p. 169.170).
Martini è molto radicale nel ricordare che per la
Costituzione, “la famiglia è una società naturale fondata sul matrimonio”.
Pertanto, i cattolici in politica devono principalmente “promuovere le famiglie
in senso proprio, non penalizzare le unioni di fatto” che non sono fondate sul
matrimonio (p.180).
Martini è molto radicale nel dire che non basta
denunciare i danni sociali derivanti dalla dissoluzione della famiglia se non
si affronta “la ricerca paziente di soluzioni pratiche che tengano conto anche
di chi ha concezioni diverse e fa parte della stessa società civile” (p.98).
Martini è molto radicale nel consigliare moderazione
ai cattolici in Parlamento e nelle forze politiche perchè “riforme imposte
dall'alto” o “solo per bruta forza contrattuale” (p.118) sono destinate
all'insuccesso. Qualcosa di simile aveva detto Gaetano Salvemini nel 1928
quando considerava doveroso rifiutare persino ricchezza, saggezza e felicità se
promessse e imposte da riforme sprovviste del libero consenso della maggioranza
dei cittadini”. E non è mai abbastanza sottolineata la riflessione di Vittorio
Foa, per il quale “la gradualità è un’attenta considerazione degli altri, della
necessità del loro concorso nell’azione, e l’apporto degli altri, della gente,
richiede tempo.” Chi non sopporta la
gradualità tradisce “la presunzione della propria centralità nei rapporti col
mondo”. Martini evita l'espressione “valori non negoziabili” tipica di ambienti
che nutrono nostalgia per un regime di cristianità. E' un caso?
Martini è molto radicale nel ricordare che il
secolare contrasto tra illuminismo e cristianesimo col tempo ha prodotto una
sintesi “preziosa”. Dialogo e convivenza sono possibili se non si sminuiscono
“il principio dell'uguaglianza, della
pari dignità sociale e della libertà religiosa” e se “tutti si conviene che
l'altro da me, sebbene diversissimo, è come me persona, soggetto libero e
titolare, in radice, di eguale dignità e dei medesimi diritti” (p.188 e 147).
Martini è molto radicale nel condannare la logica
amico-nemico “dove con l'amico si ha tutto in comune, col nemico nulla” ed è
favorevole “al conflitto politico in un quadro democratico e rispettoso dei
diritti di tutti” (p.93).
Martini è molto radicale nel rifiuto di uniformarsi
al “pessimismo sociale sistematico” quasi non ci fossero più verità, virtù e
onestà, ma tutto fosse diventato “un immondezzaio di ipocrisie da scoprire”
(p.70). Un diffuso clima di “sospetto di tutti su tutti” (p.62) lascia campo
libero al totalitarismo di chi ha in mano gli affari.
Certo, “non sta a noi salvare il mondo e non
dobbiamo caricarci tutto il peso del mondo sulle nostre spalle” perchè siamo
deboli e fragili (p. 128). Bisogna saper scegliere quando indurire il nostro
volto (Cristo “firmavit faciem suam”) e quando essere miti nel fare la parte
che sappiamo competerci.
CARLO MARIA MARTINI, Lasciateci sognare,
Edizioni Corriere della sera”, pag. 230.
Mario Dellacqua
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