giovedì 5 ottobre 2017

I DIARI DI BRUNO TRENTIN: DOPPIEZZA RETICENTE? (2)

Non penso si abbia il diritto di rimproverare a Trentin la violenza degli epiteti e delle immagini riservata nel suo diario alla liquidazione della Cisl o di Bertinotti e della sua “Armata Brancaleone”. Nè gli si può rinfacciare alcuna forma di doppiezza e reticenza.
Primo. Lo stesso Trentin non nasconde le sue corresponsabilità per le derive massimaliste o le afasie programmatiche assunte dalla sinistra e dal movimento sindacale italiano: anzi sottopone ad impietosa autocritica “molti atti mancati, molti progetti troncati, molte amicizie interrotte, molte cose non dette quando potevo e dovevo...” (p.255). Quando respira “un'aria di lotta selvaggia e senza pietà che è tipica di un'organizzazione sconfitta” (p.443), percepisce questo “squallore morale” come un suo “personale fallimento” (p.288). “Queste rovine umane e morali sono anche cosa mia e ne porto una parte di responsabilità” (p.360).

Secondo. Basta rileggere “La libertà viene prima” per accertare sul campo che Trentin non si autocensurò ed anzi denunciò con un accanimento quasi rabbioso quelle afasie e quelle derive, sancite dalla sterilizzazione di tutti i suoi tentativi di dare una coerente configurazione programmatica (non un cosmetico patriottismo identitario) sia al movimento sindacale sia alle evoluzioni accidentate della sinistra post comunista. La sua proposta di “Partito del Lavoro” cadde nel dimenticatoio. E la federazione – non la fusione – tra Ds e Margherita che invocava per consentirgli di “morire socialista”, fece la stessa fine.

Terzo. Lo scioglimento del Pci è nelle mani di Trentin uno sconvolgimento che non si esaurisce nella scissione rifondarola. In quell'ora “e cielo e terra si mostrò qual era”. La sinistra saltò per aria. I suoi tanti pezzi caddero sulla Cgil, ne sfondarono le pareti e ne minarono le fondamenta mentre, insieme a Tangentopoli, la bufera della crisi finanziaria si abbattè sull'economia italiana e preparò il cimento degli accordi con i governi di Amato e di Ciampi.

AVVOLTOI, BURATTINI, MUMMIE E VIPERE

Nei suoi diari Trentin scavava alla ricerca più autentica delle sorgenti di quelle rimozioni, di quei rinvii, di quegli atti mancati e di quelle sapienti indeterminatezze. Le trovava non solo nelle “meschinerie della lotta politica e di potere nella Cgil” (p.93), nella “ressa di avvoltoi intorno alla Cgil” (p.173) e nei “tormenti di carriera”(p.111) che agitavano “burattini”, “marionette”, “mummie contente di respirare ancora”, “mercanti di tappeti” e “nidi di vipere” (p.106-205-270-274-277). Gran parte di “questuanti e autocandidati“ alimentavano la sua depressione(p.237) perchè bravi a improvvisare “una ragione cosmica pur di rendere “insostituibile” la loro “presenza nella miserabile plancia di comando”(p.241). Le trovava nella “finzione dell'attenzione reciproca”(p.223) che tradiva più sfoggio di “testimonianze. Dialogo mai”(p. 202 e 257)). Le trovava perchè c'erano nel “piccolo cabotaggio” che accantonava l'alternativa programmatica” (p.106-107) grazie ad una “resistenza ottusa e a ripicche personali” (p.133). Essa spingeva a “salire su qualsiasi treno pur di non restare in stazione” (p.118). Il risultato era un “impoverimento morale” che scatenava “tutti contro tutti” e sfigurava le convergenze politiche trasformandole in “fedeltà personali” e “complicità di cordata”(p.171). Il conflitto programmatico e ideale lasciava il posto ad “un conflitto tribale nel quale la discriminante diventa la fiducia nel capo”(p.243). Insomma, salvava pochi dirigenti della Cgil, come ha scritto a suo tempo Aldo Amoretti. (CONTINUA)

Mario Dellacqua

ARIEMMA (a cura di), Bruno Trentin Diari 1988-1994, Ediesse, 2017, pag. 482, euro 22.

S. GARAVINI, Ripensare l'illusione, Rubettino, 1999.

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