mercoledì 18 ottobre 2017

I DIARI DI BRUNO TRENTIN: L'UTOPIA NEL QUOTIDIANO (4)

Trentin nota che “l'estremismo tradizionale ha sempre trascurato la trasformazione della vita e del lavoro quotidiani (con i suoi imperativi, i suoi vincoli, le sue compatibilità)” e al massimo, come la Chiesa, ha cercato di creare “nuove condizioni per trasformare la natura della persona” educandola agli itinerari impervi della “ascesi individuale”. Invece, bisogna “scavare nell'utopia del quotidiano” (p.397), non “infischiarsene delle compatibilità considerando la provocazione contro le leggi del sistema un ottimo esercizio e un allenamento (con le sue sconfitte sicure) in vista della catarsi rivoluzionaria” (p. 400).
Purtroppo, “è rimasto intatto il vizio d'origine dell'approccio leninista” che subordina la trasformazione della società “all'occupazione dello stato” e considera l'impresa “irriformabile a meno di una trasformazione complessiva della società (p.451 e 253). Per questo, socialdemocratici e antagonisti di tutte le scuole combattono battaglie senza speranza: perchè si ostinano a “giocare la partita della democrazia solo sul tavolo della conquista del potere” (p.440).
 
GARAVINI L'AVVENTURIERO
Molto strano, ma nel 1999 “quell'avventuriero di Garavini”, come lo chiama Trentin nei suoi appunti del 26 settembre 1993, era arrivato dalle stesse parti, quando nel suo “Ripensare l'illusione” rifiutava ostinatamente di commentare la partita o di fischiare i falli stando a bordo campo. Proprio Garavini – lo  ricordò Giuseppe Berta presentando la biografia curata da Adriano Ballone e Fabrizio Loreto – non riusciva a pensare al socialismo senza grande industria. Nel sindacalismo non vedeva solo il contrappeso democratico necessario a impedire con il negoziato continuo le rapine padronali sugli incrementi di produttività, ma il laboratorio di sperimentazione del lavoro umanizzato in un nuovo modello di sviluppo: questa è la peculiarità contagiosa (e infruttuosa) del contributo torinese alla storia del movimento operaio italiano nel secondo dopoguerra. Si cominciò con le ingenuità della vetturetta nell'officina di via Napione e si pervenne ai plafonamenti produttivi progettati per investire al sud con le laboriose contaminazioni nel giro di Emilio Pugno, Gianni Alasia, Tino Pace, Cesare Delpiano e tanti altri.
Allargando coraggiosamente lo sguardo dopo la sua avventura amara alla guida della prima Rifondazione, Garavini notava che le sinistre novecentesche si erano solo chieste “come impadronirsi e gestire i poteri del governo e non come promuovere la partecipazione democratica” (p.35). In Urss con il fucile e in Europa occidentale con il voto, avevano pensato “prima prendere il potere statuale per poi di lì cambiare la società e gli individui” (p.24).
Paradossalmente, dunque, il movimento operaio “è in crisi non per avere fallito i suoi obiettivi, ma per averli realizzati”. Nutrire l'illusione di poter cambiare la società esercitando i poteri dello Stato, ha trascurato ogni “processo di autogoverno” e ha riservato ai cittadini “un ruolo” che si limitava al “semplice esercizio del consenso elettorale” legato inesorabilmente al “comando dei leaders” (p.13-15-30). Se non si vuole prendere il potere, il concetto di lotta subisce uno spostamento. Decisivo non è più lo scontro con l'avversario di classe, ma la costruzione graduale e imperfetta di un alternativo mondo sociale e produttivo. Dunque, per dirla con John Holloway, bisogna concentrarci sul nostro fare.
Non solo per Garavini “è una sfida (o anche una sfiga, ndr) che non finirà mai” (p.21). (FINE)
 
Mario Dellacqua
 
ARIEMMA (a cura di), Bruno Trentin Diari 1988-1994, Ediesse, 2017, pag. 482, euro 22.

S. GARAVINI, Ripensare l'illusione, Rubbettino, 1999.

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