Trentin nota che
“l'estremismo tradizionale ha sempre trascurato la trasformazione della vita e
del lavoro quotidiani (con i suoi imperativi, i suoi vincoli, le sue
compatibilità)” e al massimo, come la Chiesa, ha cercato di creare “nuove
condizioni per trasformare la natura della persona” educandola agli itinerari
impervi della “ascesi individuale”. Invece, bisogna “scavare nell'utopia del
quotidiano” (p.397), non “infischiarsene delle compatibilità considerando la
provocazione contro le leggi del sistema un ottimo esercizio e un allenamento
(con le sue sconfitte sicure) in vista della catarsi rivoluzionaria” (p. 400).
Purtroppo, “è rimasto
intatto il vizio d'origine dell'approccio leninista” che subordina la
trasformazione della società “all'occupazione dello stato” e considera
l'impresa “irriformabile a meno di una trasformazione complessiva della società
(p.451 e 253). Per questo, socialdemocratici e antagonisti di tutte le scuole
combattono battaglie senza speranza: perchè si ostinano a “giocare la partita
della democrazia solo sul tavolo della conquista del potere” (p.440).
GARAVINI L'AVVENTURIERO
Molto strano, ma nel
1999 “quell'avventuriero di Garavini”, come lo chiama Trentin nei suoi appunti
del 26 settembre 1993, era arrivato dalle stesse parti, quando nel suo
“Ripensare l'illusione” rifiutava ostinatamente di commentare la partita o di
fischiare i falli stando a bordo campo. Proprio Garavini – lo ricordò Giuseppe Berta presentando la
biografia curata da Adriano Ballone e Fabrizio Loreto – non riusciva a pensare
al socialismo senza grande industria. Nel sindacalismo non vedeva solo il
contrappeso democratico necessario a impedire con il negoziato continuo le
rapine padronali sugli incrementi di produttività, ma il laboratorio di
sperimentazione del lavoro umanizzato in un nuovo modello di sviluppo: questa è
la peculiarità contagiosa (e infruttuosa) del contributo torinese alla storia
del movimento operaio italiano nel secondo dopoguerra. Si cominciò con le
ingenuità della vetturetta nell'officina di via Napione e si pervenne ai
plafonamenti produttivi progettati per investire al sud con le laboriose
contaminazioni nel giro di Emilio Pugno, Gianni Alasia, Tino Pace, Cesare
Delpiano e tanti altri.
Allargando
coraggiosamente lo sguardo dopo la sua avventura amara alla guida della prima
Rifondazione, Garavini notava che le sinistre novecentesche si erano solo
chieste “come impadronirsi e gestire i poteri del governo e non come promuovere
la partecipazione democratica” (p.35). In Urss con il fucile e in Europa
occidentale con il voto, avevano pensato “prima prendere il potere statuale per
poi di lì cambiare la società e gli individui” (p.24).
Paradossalmente, dunque,
il movimento operaio “è in crisi non per avere fallito i suoi obiettivi, ma per
averli realizzati”. Nutrire l'illusione di poter cambiare la società
esercitando i poteri dello Stato, ha trascurato ogni “processo di autogoverno”
e ha riservato ai cittadini “un ruolo” che si limitava al “semplice esercizio
del consenso elettorale” legato inesorabilmente al “comando dei leaders”
(p.13-15-30). Se non si vuole prendere il potere, il concetto di lotta subisce
uno spostamento. Decisivo non è più lo scontro con l'avversario di classe, ma
la costruzione graduale e imperfetta di un alternativo mondo sociale e
produttivo. Dunque, per dirla con John Holloway, bisogna concentrarci sul
nostro fare.
Non solo per Garavini “è
una sfida (o anche una sfiga, ndr) che non finirà mai” (p.21). (FINE)
Mario Dellacqua
ARIEMMA (a cura di), Bruno Trentin Diari 1988-1994, Ediesse,
2017, pag. 482, euro 22.
S. GARAVINI, Ripensare
l'illusione, Rubbettino, 1999.
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