In queste settimane
tutta l’Italia è chiamata ad affrontare una prova di resistenza e di
responsabilità senza precedenti e non immaginabile per le generazioni nate dopo
la tragedia della seconda guerra mondiale.
Se vogliamo fermare il coronavirus,
siamo anche chiamati a correggere le storture alla base delle più gravi
difficoltà che ci affliggono: malati senza ospedali, ospedali senza medici,
senza infermieri e senza impianti adeguati, cittadini senza dispositivi di protezione,
anziani abbandonati, imprese a rischio di chiusura e famiglie di lavoratori e
di precari a un passo dalla fame, specie nel Mezzogiorno.
Ora capiamo che cosa
vuol dire chiudere ospedali, ridurre i posti letto, destinare alla sanità il
6,6% del PIL, mentre Germania e Francia investono il 9,5 e il 9,3%. Invece di
colpire le troppe disuguaglianze nella distribuzione della ricchezza mediante
una riforma fiscale improntata a severa progressività (chi più ha più paga), si
è preferito privatizzare e infierire sullo stato sociale nell’illusione che il
mercato avrebbe restituito tutele più efficienti.
Ora, mentre lodiamo e sosteniamo il
lavoro di medici e infermieri che non temono di rischiare la vita per gli altri
alla loro prima esperienza lavorativa, consentiamo all’industria bellica di
riprendere a Cameri la produzione dei cacciabombardieri F35, considerata “attività
di rilevanza strategica per l’economia nazionale” e “fondamentale per
far fronte alle commesse e non mettere a rischio i posti di lavoro”, come
scrive il Ministro della Difesa. Si tratta di aerei che possono
trasportare anche ordigni nucleari. Perché accanirsi in questa direzione? Con
i soldi di un solo F35 (circa 150 milioni di euro) quanti respiratori si
potrebbero acquistare?
Tutto andrà bene, se tutto non tornerà
come prima. La prima svolta da conquistare sarà la riconversione dell’industria
militare verso produzioni di beni e servizi orientati alla tutela della salute,
dell’ambiente, dell’istruzione, della ricerca. Non alla criminale produzione di
armi e di guerre che mettono a repentaglio il futuro dell’umanità.
Dobbiamo scrivere “non un manuale di
economia, ma una pagina di storia”, come dice il Presidente Giuseppe Conte.
E se vogliamo “correggere il nostro modello di sviluppo in direzione di
un’economia sostenibile”, come chiede all’Europa il Commissario Paolo
Gentiloni, questo è il momento di dimostrarlo con i fatti. Con tutta la
gradualità possibile, ma con tutta la determinazione che è necessaria.
Mario Dellacqua