Due
o tre
riflessioni sparse,
ma con
molte pretese,
dopo la
serata del
19 novembre all'angolo
sui poveri
in Comune
(o in
comune) con Cristina Pukly e
Attilio Beltramino. La prima:
i consorzi
tra i
Comuni come
il Cisa
sembrano ad
uno sguardo
superficiale carrozzoni
burocratici improduttivi
e parassitari.
Invece, i
dati presentati da Giovanni
Garabello dimostrano che
è sempre
conveniente mettere
in comune
le risorse
accettando la
fatica di
discuterne e
di deciderne
l'uso
con gli
altri Comuni.
L'unione
fa sempre
la forza
e la
battaglia contro
le povertà
non si
vince separati
ma alleati.
Come tutte
le altre
battaglie contro
la crisi
economica di
questi tempi,
del resto.
La
seconda: i
soldi per
assistere bambini,
disabili, famiglie
sfasciate, anziani
soli e
disoccupati sono
sempre meno.
Per invertire
la tendenza
bisogna aumentare
la quota
procapite versata
da ogni
Comune. Non
si scappa.
Oppure, se
non si
vogliono aumentare
le tasse
locali, bisogna
scatenare una
guerriglia politica
e sociale
contro le
norme restrittive
dei governi
di destra,
sinistra, centro
e tecnici.
No perditempo,
no approvazione
di innocui
ordini del
giorno di
lamentosa e
impotente protesta
che sono
quella cosa
con la
quale e
senza la
quale tutto
rimane tale
e quale.
La
terza: l'arcipelago
del volontariato
dovrebbe coordinare
l'uso
delle sue
energie, raccogliere
i soldi
e il
tempo disponibile
alla solidarietà
e operare
non perchè
i poveri
siano assistiti,
ma possibilmente
perchè siano
facilitati ad
aiutarsi da
soli e
tutti insieme
nella loro
doverosa ribellione
contro i
governanti che
rubano o
bruciano i
milioni e
contro le
banche, le
multinazionali, le
finanziarie che
rubano o
bruciano i
miliardi. Le
Caritas dovrebbero
partecipare alle
lotte dei
sindacati europei.
Dal canto loro, i lavoratori,
specie quelli
del pubblico
impiego, invece
di fare scioperi
che non danneggiano
la controparte
ma colpiscono
l'utenza
della scuola,
dell'ospedale
e della
ferrovia, dovrebbero
versare il
denaro risparmiato
alla Caritas
(o ad
associazioni similari)
se non
sono capaci
di gestire
un loro
fondo di
solidarietà. Le
manifestazioni si
potrebbero fare
il sabato
e i
lavoratori del
pubblico impiego
in questo
modo recupererebbero,
alla lunga,
una popolarità
di cui
non hanno
mai goduto.
Anche le
loro rivendicazioni
sarebbero più
credibili. In
altre parole:
le Caritas
e il
movimento sindacale
dovrebbero cambiare
ciascuno un
po' a
casa sua.
Le Caritas si dovrebbero sporcare le mani con le lotte sociali e i
sindacati dovrebbero praticare solidarietà e chiederla un po' meno
agli altri. Come risultato
si darebbero
la mano
e si
troverebbero alleati
e più
efficaci nella
loro azione
convergente.
La
quarta: la
povertà non
è solo
il risultato
di licenziamenti,
sfratti o
separazioni, ma
anche della
difficoltà di
capire la
differenza fra
necessario e
superfluo.
Mario Dellacqua
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