Delocalizzazione,
cassa integrazione, licenziamenti, precarietà, disoccupazione giovanile e tante
altre raffigurazioni del lavoro popolano i pensieri della gente, i discorsi
dei tecnici chiamati ad essere politici e dei politici improvvisatisi
tecnici. Tutti i mezzi di comunicazione
giornalmente rappresentano una vasta gamma di sentimenti : dal timore di chi il lavoro ha paura di perderlo, alla rassegnazione di chi è stanco di cercarlo
fino alla disperazione di chi l’ha perso. E’ la pancia della crisi, un nucleo
denso che attira e distrugge valori economici e morali alla stessa stregua di
uno spaziale buco nero.
Se
la globalizzazione è per sua natura un mutamento mondiale, la crisi economica
non è universale perché differenti sono gli anticorpi esistenti e sviluppati dai singoli stati.
La strategia tedesca dello
scorso decennio non è stata l’austerity.
Il governo Schroder tra il 1998 e il 2005 ha visto l’adozione del
consolidamento fiscale e di riforme del mercato del lavoro orientate alla
crescita come parte integrante della sua politica economica. Linee guida di un’economia sociale secondo un modello
che si propone di garantire sia la libertà di mercato sia la giustizia sociale, armonizzandole tra di loro.
Un
processo agevolato dalla “cultura concertativa” storicamente esistente nel
paese.
La gestione delle imprese tedesche era
affidata a due organi: un Consiglio Esecutivo (Vorstand) e un Consiglio
di Sorveglianza (Aufsichtsrat). I lavoratori avevano diritto di eleggere
metà dei rappresentanti del Consiglio di Sorveglianza.
I
lavoratori eleggono i consigli di fabbrica a scrutinio segreto ogni 4 anni,
formalmente sono organi indipendenti dal sindacato, e hanno competenze dirette
nella gestione del personale: assunzioni, licenziamenti, contratti temporanei e
flessibilità di orario individuale.
Nel
dettaglio: la Germania, che ha tre grosse industrie automobilistiche in
concorrenza tra loro con importanti investimenti in tecnologia, ha potuto ammortizzare
gli effetti della crisi utilizzando l’elasticità della struttura produttiva,
concordata con i lavoratori nell’ambito della singola azienda.
In
Italia il mondo del lavoro ha le sue regole di riferimento nello Statuto dei
lavoratori: “Norme sulla tutela della libertà e dignità dei lavoratori,
della libertà sindacale e dell'attività sindacale nei luoghi di lavoro e norme
sul collocamento”. Un punto di
arrivo importante “conquistato” al prezzo di estenuanti battaglie .
Le recenti
strategie governative di riforma sono illustrate nel “Libro Bianco sul mercato del lavoro in
Italia. Proposte per una società attiva e per un lavoro di qualità” ovvero la legge Biagi. Essa introduce una serie di
novità la cui portata è paragonabile allo Statuto dei lavoratori. Diversamente
da quest’ultimo, però, l’intento del legislatore parte dal presupposto secondo
cui la flessibilità in ingresso nel mercato del lavoro è il mezzo migliore,
nella attuale congiuntura economica, per agevolare la creazione di nuovi posti di
lavoro. La rigidità del sistema, invece, contribuirebbe a creare spesso alti
tassi di disoccupazione.
Le aziende
che hanno deciso di introdurre le nuove tipologie contrattuali per le
assunzioni, hanno beneficiato di sconti contributivi e fiscali nonché di un
maggiore fattore di ricambio del personale, ove non si fosse giudicato adatto quello
assunto.
Per contro:
·
Alla prevista flessibilità non ha fatto seguito
una riforma sugli ammortizzatori
sociali, tramutando di fatto una situazione di lavoro flessibile in una
situazione precaria, soprattutto in un
contesto economico nel quale non è facile, per non dire impossibile, il
ricollocamento nel mondo del lavoro.
·
Dovendo le aziende versare minori contributi, i
lavoratori precari hanno un accantonamento pensionistico inferiore ai loro
colleghi con contratti tipici.
·
Le retribuzioni e i livelli di qualifica non sono
proporzionate al livello di istruzione crescente delle ultime generazioni.
Esiste inoltre una forte differenza di salario, a parità di mansioni, tra operaio,
quadro e impiegato di concetto, fra i differenti contratti nazionali..
·
Questi lavoratori non sono in grado di poter fornire
garanzie reali di un salario nel lungo periodo, lasciandoli in evidente
difficoltà nel momento in cui sono costretti, anche in età avanzata, a
richiedere agli istituti di credito del denaro per far fronte alle piccole
spese quotidiane o per l’acquisto della casa nella quale andare ad abitare.
·
Il precariato, inoltre, pone il dipendente in una situazione
di debolezza, nella quale, sottoposto al rischio di perdere il lavoro, più
difficilmente potrà rivendicare i suoi diritti (sicurezza compresa) ed un
salario migliore.
Alcuni
dati sembrano quindi porre in discussione l’ipotesi del libero mercato
efficiente e della capacità del mercato del lavoro di assumere la migliore
configurazione possibile nell’interesse economico delle parti, in assenza di
vincoli legislativi. Atri possono definire “choosy” l’atteggiamento di chi si trova in tale
contesto.
La
recente “riforma Fornero” ha inteso incidere sulla “fluidità” di uscita dal mondo del lavoro. La materia del licenziamento ha subito importanti
modifiche; infatti, verrà modificato l’art. 18 dello Statuto dei lavoratori, ci
saranno novità (es. sanzione pecuniaria anziché reintegro) nel licenziamento
per motivi economici e per motivi disciplinari, è previsto inoltre,
l’inserimento della procedura veloce nell’ambito del processo del lavoro. Una riforma
perniciosa per i lavoratori e scarsamente utile per il mercato del lavoro. Sono
ben altre le cause che sconsigliano gli investitori esteri dall’operare in
Italia.
Oltre l’aspetto numerico occorre considerare un deterioramento delle relazioni:
·
Intersindacali
·
Tra gli stessi lavoratori (vedi referendum
Fiat )
·
Tra i lavoratori e gli abitanti del luogo (
vedi Ilva di Taranto)
·
Tra imprenditori e magistratura (vedi Ilva e
reintegro operai Fiom)
·
Tra imprenditori e governo (vedi investimenti
promessi e minaccia delocalizzazione)
·
Tra governo e giovani (vedi laureati fuori
corso” sfigati” e troppo esigenti “choosy”)
·
Tra gli stessi imprenditori ( Della Valle vs. Marchionne)
Due sono quindi le considerazioni di fondo:
1.
Dalla Germania siamo distanti “di corpo e di
spirito”.
2.
La regolamentazione del mercato del lavoro aiuta
lo sviluppo, ma la condizione necessaria è l’esistenza del lavoro stesso. La
mancanza di una politica industriale determina oggi in Italia l’assenza di tale
condizione.
Mario Ruggieri
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