Una scena del film "La grande guerra" di Monicelli |
Non ho chiesto di
poter parlare oggi per fare della retorica che in qualche modo esalti
la guerra perché sarebbe una cosa criminale. E non ho chiesto di
parlare neppure per dire di essere contro ogni guerra perché sarebbe
banale: tutti dichiarano di volere la pace eppure nel mondo si
combatte più che mai.
Io ho chiesto invece
di poter parlare oggi – centenario del primo conflitto mondiale –
semplicemente con l’intenzione di togliere per pochi minuti un po’
di quella polvere che in cento anni si è andata accumulando sui nomi
di questi ragazzi che elenchiamo quindi quasi con automatismo ogni
dodici mesi in quest’occasione.
Ognuno di questi
ragazzi aveva qui a None una mamma e un papà, dei famigliari, degli
amici, forse qualcuno una moglie ad aspettarli: tutte persone che
ormai da qualche lustro non esistono più. Per noi invece sono
soltanto dei nomi senza un volto, senza una storia: per questo
riusciamo a leggerli senza particolari emozioni.
Qualche sensazione
invece – come dicevo prima – vorrei provare a risvegliarla in voi
per pochi secondi leggendo ora la causa del decesso di alcune di
queste giovani vittime della follia umana:
ANRICO ANTONIO morto
per ferite riportate in combattimento
BOLLATI
VITTORIO morto per ferite riportate in combattimento
CARITÀ BARTOLOMEO
disperso
CARITÀ
FRANCESCO ferita alla testa da proiettile di fucile
COLOMBO FRANCESCO
morto per asfissia per caduta di valanga
GRAZIANO
ANTONIO morto nel lazzaretto dei prigionieri di guerra
GRIGLIO
GIACOMO ferito mortalmente dopo essere entrato con un solo soldato in
una trincea nemica
GRUERO
DOMENICO scheggia di granata
LEVRINO BARTOLOMEO
scheggia di granata
MAZZOLA BARTOLOMEO
dilaniato da una mina
TOSELLI GIOVANNI
morto per asfissia
Sono nomi di giovani
uniti dal comune destino di essere vissuti nel tempo sbagliato. Al
loro posto avremmo potuto esserci noi: chissà come ci saremmo
comportati.
In occasione del 25
aprile ricordiamo giustamente ogni anno coloro che scelsero di
difendere la libertà propria e dell’Italia nel 1943 imbracciando
il fucile e andando sui monti:
i ragazzi che
ricordiamo oggi non ebbero neanche questa possibilità di scelta, non
vi era per loro una via dei monti da poter imboccare, non vi era in
quel momento una popolazione che avrebbe potuto aiutarli e
comprenderli, e tantomeno soffitte che avrebbero potuto nasconderli
magari per pochi mesi in attesa della vittoria scontata di una guerra
che presto sarebbe finita con l’arrivo degli alleati.
Per loro è stato un
obbligo trovare il coraggio di uccidere senza provare odio degli
altri ragazzi come loro per non essere uccisi.
Non so quanti di loro
sull’onda del patriottismo siano partiti pieni di entusiasmo, io me
li immagino qui cento anni fa a girovagare per le strade di None con
la mantella a spalle e gli zoccoli infangati ai piedi,appena in grado
di leggere e scrivere, per la maggior parte di umili origini
contadine salvo qualche rara eccezione e non so quanti di loro
abbiano partecipato a delle manifestazioni di piazza organizzate da
una sciagurata corrente interventista che in quei giorni dichiarava
sui suoi giornali:
AMIAMO LA GUERRA.
FA’ IL VUOTO PERCHE’ SI RESPIRI MEGLIO LASCIA MENO BOCCHE INTORNO
ALLA STESSA TAVOLA E LEVA DI TORNO UN’INFINITÀ DI UOMINI CHE
VIVEVANO PERCHE’ ERANO NATI. CHE MANGIAVANO PER VIVERE,CHE
LAVORAVANO PER MANGIARE E MALEDICEVANO IL LAVORO SENZA IL CORAGGIO DI
RIFIUTAR LA VITA.
Non so chi di loro
abbia simpatizzato o quantomeno conosciuto il manifesto del movimento
futurista che in quegli anni declamava in questi termini:
NON V’E’ BELLEZZA
SE NON NELLA LOTTA.
NOI VOGLIAMO
GLORIFICARE LA GUERRA – SOLA IGIENE DEL MONDO, IL MILITARISMO, IL
PATRIOTTISMO, LE BELLE IDEE PER CUI MORIRE.
NOI VOGLIAMO CANTAR
L’AMOR DEL PERICOLO, L’ABITUDINE ALL’ENERGIA E ALLA
TEMERARIETÀ.
Io non so proprio
quanti di loro fossero in grado di comprendere questi concetti e di
condividerli ma mi è stato raccontato quando ero bambino che uno di
loro e per fortuna non ricordo chi, è stato visto essere trascinato
a forza sul treno con un biglietto di sola andata per difendere una
bandiera: uno straccio colorato in cui riconoscersi di cui purtroppo
gli uomini dall’inizio della loro storia non hanno mai potuto fare
a meno perché purtroppo è nella loro stessa natura essere divisi in
classi sociali,in assurde fazioni perfino religiose,in maledetti
partiti, in nazioni sempre pronte a difendere i propri interessi se
occorre anche con la violenza.
SIA SENTIMENTO DI
TUTTI CHE LA BANDIERA RAPPRESENTA LA LIBERTÀ, L’INDIPENDENZA, LA
DIGNITÀ, L’ONORE : NON SI MACCHIA, NON SI ABBANDONA… E CHE
PIUTTOSTO SI MUORE!
e poi ancora:
LA GUERRA È
MORALMENTE PIÙ SALUBRE AI POPOLI CHE LE LUNGHE PACI. LA FEDELTÀ AD
UN DOVERE DIFFICILE E PERICOLOSO TEMPRA GLI ANIMI E LI RENDE ATTI A
FARE BENE E FORTEMENTE ANCHE FUORI DELL’ARMI.
Non sarò io a
giudicare la fondatezza di questi concetti figli di quella società e
di quel tempo espressi da un politico torinese dell’ottocento di
indubbia integrità morale e di grande buon senso, lo stesso che
dichiarò cinquanta anni prima:
L’ITALIA È FATTA
ORA BISOGNA FARE GLI ITALIANI
ma comprendo che
forti di convinzioni come queste abbiamo cercato spavaldamente di
forgiare la prima generazione di veri italiani in quella spaventosa
macelleria di carne umana che è stata la grande guerra.
Chi studia la storia
della nostra regione può rendersi conto di come io faccia parte
della prima generazione di piemontesi che non ha conosciuto gli
orrori della guerra nell’arco della propria esistenza. Salvo
qualche sporadica,relativa,molto relativa, eccezione, non capitava da
1500 anni. Noi siamo convinti che la pace sia una condizione di
normalità: non è così! Questi 70 anni di pace per l’Europa sono
stai un’eccezione, un evento che si è realizzato soltanto con
Ottaviano Augusto ed i suoi successori nell’impero romano di quasi
2000 anni fa. La normalità della storia umana è stata
rappresentata dalle guerre.
Se l’Europa ha
compreso che la guerra non può essere lo strumento risolutivo delle
controversie fra le proprie nazioni è anche perché ne ha dovuto
constatare il prezzo altissimo ormai da pagare. Un prezzo pagato due
volte nell’arco di vent’anni sulla propria pelle, anzi sulla
pelle di chi come loro ne è stato vittima.
La pace che viviamo
oggi la dobbiamo pertanto anche a loro che quindi vanno ricordati.
Ricordati per quello che erano: dei poveri ragazzi a cui il nostro
paese cento anni fa ha chiesto crudelmente di saper morire. Morire da
eroi.
Quando ciò che conta
sarebbe invece il poter vivere da esseri umani.
Armando NICOLA
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