lunedì 17 novembre 2014

Intervento di Armando Nicola per i 100 anni dallo scoppio della I guerra mondiale

Una scena del film "La grande guerra" di Monicelli
Non ho chiesto di poter parlare oggi per fare della retorica che in qualche modo esalti la guerra perché sarebbe una cosa criminale. E non ho chiesto di parlare neppure per dire di essere contro ogni guerra perché sarebbe banale: tutti dichiarano di volere la pace eppure nel mondo si combatte più che mai.
Io ho chiesto invece di poter parlare oggi – centenario del primo conflitto mondiale – semplicemente con l’intenzione di togliere per pochi minuti un po’ di quella polvere che in cento anni si è andata accumulando sui nomi di questi ragazzi che elenchiamo quindi quasi con automatismo ogni dodici mesi in quest’occasione.
Ognuno di questi ragazzi aveva qui a None una mamma e un papà, dei famigliari, degli amici, forse qualcuno una moglie ad aspettarli: tutte persone che ormai da qualche lustro non esistono più. Per noi invece sono soltanto dei nomi senza un volto, senza una storia: per questo riusciamo a leggerli senza particolari emozioni.
Qualche sensazione invece – come dicevo prima – vorrei provare a risvegliarla in voi per pochi secondi leggendo ora la causa del decesso di alcune di queste giovani vittime della follia umana:

ANRICO ANTONIO morto per ferite riportate in combattimento
BOLLATI VITTORIO morto per ferite riportate in combattimento
CARITÀ BARTOLOMEO disperso
CARITÀ FRANCESCO ferita alla testa da proiettile di fucile
COLOMBO FRANCESCO morto per asfissia per caduta di valanga
GRAZIANO ANTONIO morto nel lazzaretto dei prigionieri di guerra
GRIGLIO GIACOMO ferito mortalmente dopo essere entrato con un solo soldato in una trincea nemica
GRUERO DOMENICO scheggia di granata
LEVRINO BARTOLOMEO scheggia di granata
MAZZOLA BARTOLOMEO dilaniato da una mina
TOSELLI GIOVANNI morto per asfissia

Sono nomi di giovani uniti dal comune destino di essere vissuti nel tempo sbagliato. Al loro posto avremmo potuto esserci noi: chissà come ci saremmo comportati.
In occasione del 25 aprile ricordiamo giustamente ogni anno coloro che scelsero di difendere la libertà propria e dell’Italia nel 1943 imbracciando il fucile e andando sui monti:
i ragazzi che ricordiamo oggi non ebbero neanche questa possibilità di scelta, non vi era per loro una via dei monti da poter imboccare, non vi era in quel momento una popolazione che avrebbe potuto aiutarli e comprenderli, e tantomeno soffitte che avrebbero potuto nasconderli magari per pochi mesi in attesa della vittoria scontata di una guerra che presto sarebbe finita con l’arrivo degli alleati.
Per loro è stato un obbligo trovare il coraggio di uccidere senza provare odio degli altri ragazzi come loro per non essere uccisi.
Non so quanti di loro sull’onda del patriottismo siano partiti pieni di entusiasmo, io me li immagino qui cento anni fa a girovagare per le strade di None con la mantella a spalle e gli zoccoli infangati ai piedi,appena in grado di leggere e scrivere, per la maggior parte di umili origini contadine salvo qualche rara eccezione e non so quanti di loro abbiano partecipato a delle manifestazioni di piazza organizzate da una sciagurata corrente interventista che in quei giorni dichiarava sui suoi giornali:

AMIAMO LA GUERRA. FA’ IL VUOTO PERCHE’ SI RESPIRI MEGLIO LASCIA MENO BOCCHE INTORNO ALLA STESSA TAVOLA E LEVA DI TORNO UN’INFINITÀ DI UOMINI CHE VIVEVANO PERCHE’ ERANO NATI. CHE MANGIAVANO PER VIVERE,CHE LAVORAVANO PER MANGIARE E MALEDICEVANO IL LAVORO SENZA IL CORAGGIO DI RIFIUTAR LA VITA.

Non so chi di loro abbia simpatizzato o quantomeno conosciuto il manifesto del movimento futurista che in quegli anni declamava in questi termini:

NON V’E’ BELLEZZA SE NON NELLA LOTTA.
NOI VOGLIAMO GLORIFICARE LA GUERRA – SOLA IGIENE DEL MONDO, IL MILITARISMO, IL PATRIOTTISMO, LE BELLE IDEE PER CUI MORIRE.
NOI VOGLIAMO CANTAR L’AMOR DEL PERICOLO, L’ABITUDINE ALL’ENERGIA E ALLA TEMERARIETÀ.

Io non so proprio quanti di loro fossero in grado di comprendere questi concetti e di condividerli ma mi è stato raccontato quando ero bambino che uno di loro e per fortuna non ricordo chi, è stato visto essere trascinato a forza sul treno con un biglietto di sola andata per difendere una bandiera: uno straccio colorato in cui riconoscersi di cui purtroppo gli uomini dall’inizio della loro storia non hanno mai potuto fare a meno perché purtroppo è nella loro stessa natura essere divisi in classi sociali,in assurde fazioni perfino religiose,in maledetti partiti, in nazioni sempre pronte a difendere i propri interessi se occorre anche con la violenza.

SIA SENTIMENTO DI TUTTI CHE LA BANDIERA RAPPRESENTA LA LIBERTÀ, L’INDIPENDENZA, LA DIGNITÀ, L’ONORE : NON SI MACCHIA, NON SI ABBANDONA… E CHE PIUTTOSTO SI MUORE!

e poi ancora:

LA GUERRA È MORALMENTE PIÙ SALUBRE AI POPOLI CHE LE LUNGHE PACI. LA FEDELTÀ AD UN DOVERE DIFFICILE E PERICOLOSO TEMPRA GLI ANIMI E LI RENDE ATTI A FARE BENE E FORTEMENTE ANCHE FUORI DELL’ARMI.

Non sarò io a giudicare la fondatezza di questi concetti figli di quella società e di quel tempo espressi da un politico torinese dell’ottocento di indubbia integrità morale e di grande buon senso, lo stesso che dichiarò cinquanta anni prima:

L’ITALIA È FATTA ORA BISOGNA FARE GLI ITALIANI

ma comprendo che forti di convinzioni come queste abbiamo cercato spavaldamente di forgiare la prima generazione di veri italiani in quella spaventosa macelleria di carne umana che è stata la grande guerra.
Chi studia la storia della nostra regione può rendersi conto di come io faccia parte della prima generazione di piemontesi che non ha conosciuto gli orrori della guerra nell’arco della propria esistenza. Salvo qualche sporadica,relativa,molto relativa, eccezione, non capitava da 1500 anni. Noi siamo convinti che la pace sia una condizione di normalità: non è così! Questi 70 anni di pace per l’Europa sono stai un’eccezione, un evento che si è realizzato soltanto con Ottaviano Augusto ed i suoi successori nell’impero romano di quasi 2000 anni fa. La normalità della storia umana è stata rappresentata dalle guerre.
Se l’Europa ha compreso che la guerra non può essere lo strumento risolutivo delle controversie fra le proprie nazioni è anche perché ne ha dovuto constatare il prezzo altissimo ormai da pagare. Un prezzo pagato due volte nell’arco di vent’anni sulla propria pelle, anzi sulla pelle di chi come loro ne è stato vittima.
La pace che viviamo oggi la dobbiamo pertanto anche a loro che quindi vanno ricordati. Ricordati per quello che erano: dei poveri ragazzi a cui il nostro paese cento anni fa ha chiesto crudelmente di saper morire. Morire da eroi.
Quando ciò che conta sarebbe invece il poter vivere da esseri umani.

Armando NICOLA

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