lunedì 18 gennaio 2016

LAVORO PERDUTO A NONE



La lettera firmata con cui la concittadina nonese lamenta la mancata conferma del suo posto di lavoro con la nuova gestione della mensa scolastica mi spinge a due domande.

La prima:   Sindaco, ViceSindaco, ex Sindaco ed ex ViceSindaco si trovano a non aver nulla da dire, oltre al comprensibile rammarico? Eppure a suo tempo si impegnarono a spiegarmi con santa pazienza le ragioni per cui era giusto chiedere alle imprese private di privilegiare i nonesi nelle assunzioni. Qui si tratta di un'impresa che ha ottenuto l'incarico dal Comune.

In effetti tutto è legale. Anche il professor Pietro Ichino (ex Pd, ex Scelta civica, ora Pd), nella sua relazione alla 11ma Commissione Lavoro del Senato propone di sopprimere le modifiche approvate dalla Camera, tese a privilegiare “la manodopera o personale a livello locale ovvero in via prioritaria gli addetti già impiegati nel medesimo appalto”. Secondo Ichino, questa norma “si pone in contrasto insanabile con il principio europeo della libera circolazione delle persone e dei lavoratori in particolare”. Il professore sostiene poi che “difendere a tutti i costi la continuità del rapporto di lavoro degli addetti ai servizi pubblici” è un modo sbagliato di proteggerli: viola principi costituzionali e norme europee e “finisce col recare danno a loro stessi e agli utenti”. Questi vincoli impediscono infatti che “una maggiore produttività pro capite sia perseguita attraverso l'applicazione di nuove tecnologie e/o nuove forme di organizzazione del lavoro”. Oh, quanta fatica per dire che si può spremere lo stesso lavoro da un numero inferiore di dipendenti.
Pietro Ichino, tuttavia, è coerente: ha sempre pensato che si difendono meglio i lavoratori non aggrappandosi al posto fisso, ma riconoscendo alle imprese maggiori libertà di licenziare (che fa più fine chiamare flessibilità in uscita).

Seconda domanda. So benissimo che le giornate dei lavoratori, dei precari e dei disoccupati sono costellate di piccoli e grandi ricatti che soffocano persino il diritto di parola. Temo però che non si possa aspettare libertà e dignità del lavoratore dall'alto, cioè dall'impresa, dal governo o dal Sindaco, ma solo dal basso, cioè dal lavoratore medesimo, possibilmente associato in un grande movimento sindacale unitario e non in competizione fratricida con altri lavoratori che stanno peggio. Le lettere senza un nome e senza un volto sono  ancora poco. Non sarebbe meglio uno sciopero generale?

Mario Dellacqua

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