domenica 24 aprile 2016

DOPO IL REFERENDUM

Un mio caro amico che si ostina a fingere di non essere anche un mio maestro,  mi ha offerto la sua interpretazione del voto al referendum del 17 aprile. Di questi tempi la condizione di precarietà e di disoccupazione è persistente e sempre più diffusa in tutte le famiglie. E' incisiva. Concorre a formare il pensiero dei lavoratori e orienta il comportamento delle aree sociali subalterne. La ricattabilità della vita quotidiana aumenta e toglie il diritto di parola e di dissenso. In questa miscela può resistere solo chi ci crede o chi se lo può permettere. Una minoranza di persone è portata a cercare una visione di insieme dei problemi. La maggioranza, invece, è spinta a muoversi e a ribellarsi solo se vengono colpiti direttamente i pilastri materiali delle poche sicurezze rimaste.

Ne nascono due conseguenze: bisogna apprezzare, coltivare e sollecitare all'azione chi già è andato a votare. Bisogna non spezzare, ma mantenere aperto il dialogo con chi non è andato a votare per una varietà contraddittoria di motivi: indifferenza, scoraggiamento, adesione alla politica governativa, disgusto per gli scandali, rassegnazione o estraneità e impotenza.
E' evidente che nessun dialogo è possibile se si comincia dicendo che gli italiani sono uno schifo e che gli altri sono manipolati, disinformati, interessati, opportunisti, ignoranti o vili. Questo genere di persone si trova un po' di qua e un po' di là.

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