Come
contrastare l'odio verso gli immigrati e l'opposizione ad ogni
accoglienza? Servono i toni della derisione e del disprezzo? Mi sono
sorpreso ad usarli in qualche occasione, specie quando vedevo che la
crudeltà si unisce alla viltà di chi i profughi li preferisce morti
in fondo al mare o a casa loro, ma non osa dirlo.
Avevo
le mie ragioni, ma sbagliavo lo stesso, anche quando li chiamavo
“miti
carnefici” citando
il Montale del 1938. Si può permettere queste intransigenze solo chi
vive in ambienti protetti e incontaminati. Ma se vivi in una zona di
frontiera, meglio non scavare trincee nelle quali seppellirsi con le
proprie certezze. Magari distribuendo patenti gratuite di ignoranza e
intelligenza. Magari fabbricando stereotipi.
AIUTIAMOLI
A CASA LORO
Un
esempio è lo slogan: aiutiamoli a casa loro. Disegnare programmi
governativi di cooperazione è molto difficile, come spiega Alberto
Mingardi su “La Stampa” del 29 settembre scorso. Gli
aiuti si possono tradurre in sostegno a elites locali corrotte e
voraci. E' più facile per quei paesi raggiungere potenziali
acquirenti dei loro prodotti. Ma proprio chi insiste per "aiutarli
a casa loro" invoca
dazi e barriere per proteggere le produzioni agroalimentari europee.
Sono le stesse forze politiche che hanno protestato per l'arrivo
dell'olio tunisino o degli agrumi dal Sud Africa. Investire in aiuti
all'estero può servire a ripulirci la coscienza mentre, guidati dal
nazionalismo economico, scegliamo di impegnarci in una politica di
respingimenti. Ma può servire a comprare la disponibilità dei loro
governi ad impedire la libertà di movimento dei migranti.
CENTO
SU MILLE NON CE LA FAI
Altro
esempio. Se arrivano cento profughi “nell'albergo
di un paesino di mille abitanti e lì mantenuti senza far nulla a
tempo indeterminato, con un consistente lucro per la cooperativa che
li ospita, sono, oltre che un errore organizzativo, un chiaro invito
al razzismo”.
Goffredo Buccini spiegava sul “Corriere
della sera”
del 25 ottobre (proprio mentre si consumava la “notte
ripugnante” di
Goro) che meglio dei centri di accoglienza intasati erano i corridoi
umanitari organizzati da Sant'Egidio con valdesi e evangelici : essi
porteranno circa mille profughi (tanti quanti ne è riuscita a
collocare l'Unione Europea!) ad integrarsi nei piccoli centri, nelle
parrocchie, presso privati cittadini e istituzioni locali. Buccini
suggerisce di spronare gli Stati a “farsi
volano d'iniziative simili a questa di Sant'Egidio”. Con
“il
buono che c'è nei piccoli Comuni”, si
possono attuare progetti di difesa e di protezione degli argini, dei
fiumi e delle foreste, di ripopolamento delle borgate abbandonate in
montagna e al sud, di manutenzione dell'arredo urbano nelle città.
NON
ESCLUDERE L'INTOLLERANTE
Ho
ottenuto migliori risultati quando ho discusso queste proposte:
quando cioè ho trovato il modo di dialogare alla pari con le paure e
le obiezioni dei miei amici, alcuni simpatizzanti leghisti, altri
spaventati dagli stranieri. Non è detto che l'intollerante capisca
che è meglio combinare legalità e umanità per salvare la
convivenza civile di fronte al carattere strutturale delle
migrazioni. E' certo che se c'è una sola possibilità di scalfirne
le sicurezze, imbracciando le armi dell'invettiva, io mi brucio
quella possibilità. Anzi, incoraggio il suo arroccamento e la sua
“radicalizzazione”. Lo stigma sopraelevatore che ne ricavo mi
rassicura, ma mi consegna all'incapacità di dialogare e di lottare
per l'egemonia (come dicevano gli allievi di Gramsci). Oh, non è
anche questo uno dei motivi che hanno cacciato le sinistre
nell'isolamento coltivato come prova del proprio antagonismo? Non è
forse vero che chi rifiuta le mediazioni, immagina un'impossibile
lotta fino alla vittoria, cioè fino alla pacificazione che coincide
con l'annientamento dell'avversario? Non è forse vero, invece, che
ogni lotta comincia non perchè vuole durare in eterno, ma perchè
vuole raggiungere un accordo, cioè un equilibrio più avanzato?
SCARPE
ROTTE
Non
è importante che io faccia l'ultimo prezzo per liquidare il mio
riottoso interlocutore. E' invece decisivo cercare strategie efficaci
per convincerlo ad esplorare idee e comportamenti diversi. Anche in
questo caso, meglio costruire ponti che muri. Meglio trovare
superfici di contatto che scavare abissi etici di incomunicabilità.
Non è detto che la spunterò, ma ”è
certo che l'intollerante escluso non potrà mai diventare un leale
osservante della tolleranza”: l'ho
imparato da Norberto Bobbio. Sentieri impervi. Queste sono le nostre
scarpe rotte, “eppur
bisogna andar”.
Mario
Dellacqua
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