mercoledì 7 dicembre 2016

ANDARE A QUEL PAESE

Come contrastare l'odio verso gli immigrati e l'opposizione ad ogni accoglienza? Servono i toni della derisione e del disprezzo? Mi sono sorpreso ad usarli in qualche occasione, specie quando vedevo che la crudeltà si unisce alla viltà di chi i profughi li preferisce morti in fondo al mare o a casa loro, ma non osa dirlo.
Avevo le mie ragioni, ma sbagliavo lo stesso, anche quando li chiamavo “miti carnefici” citando il Montale del 1938. Si può permettere queste intransigenze solo chi vive in ambienti protetti e incontaminati. Ma se vivi in una zona di frontiera, meglio non scavare trincee nelle quali seppellirsi con le proprie certezze. Magari distribuendo patenti gratuite di ignoranza e intelligenza. Magari fabbricando stereotipi.
AIUTIAMOLI A CASA LORO
Un esempio è lo slogan: aiutiamoli a casa loro. Disegnare programmi governativi di cooperazione è molto difficile, come spiega Alberto Mingardi su “La Stampa” del 29 settembre scorso. Gli aiuti si possono tradurre in sostegno a elites locali corrotte e voraci. E' più facile per quei paesi raggiungere potenziali acquirenti dei loro prodotti. Ma proprio chi insiste per "aiutarli a casa loro" invoca dazi e barriere per proteggere le produzioni agroalimentari europee. Sono le stesse forze politiche che hanno protestato per l'arrivo dell'olio tunisino o degli agrumi dal Sud Africa. Investire in aiuti all'estero può servire a ripulirci la coscienza mentre, guidati dal nazionalismo economico, scegliamo di impegnarci in una politica di respingimenti. Ma può servire a comprare la disponibilità dei loro governi ad impedire la libertà di movimento dei migranti.
CENTO SU MILLE NON CE LA FAI
Altro esempio. Se arrivano cento profughi “nell'albergo di un paesino di mille abitanti e lì mantenuti senza far nulla a tempo indeterminato, con un consistente lucro per la cooperativa che li ospita, sono, oltre che un errore organizzativo, un chiaro invito al razzismo”. Goffredo Buccini spiegava sul “Corriere della sera” del 25 ottobre (proprio mentre si consumava la “notte ripugnante” di Goro) che meglio dei centri di accoglienza intasati erano i corridoi umanitari organizzati da Sant'Egidio con valdesi e evangelici : essi porteranno circa mille profughi (tanti quanti ne è riuscita a collocare l'Unione Europea!) ad integrarsi nei piccoli centri, nelle parrocchie, presso privati cittadini e istituzioni locali. Buccini suggerisce di spronare gli Stati a “farsi volano d'iniziative simili a questa di Sant'Egidio”. Con “il buono che c'è nei piccoli Comuni”, si possono attuare progetti di difesa e di protezione degli argini, dei fiumi e delle foreste, di ripopolamento delle borgate abbandonate in montagna e al sud, di manutenzione dell'arredo urbano nelle città.
NON ESCLUDERE L'INTOLLERANTE
Ho ottenuto migliori risultati quando ho discusso queste proposte: quando cioè ho trovato il modo di dialogare alla pari con le paure e le obiezioni dei miei amici, alcuni simpatizzanti leghisti, altri spaventati dagli stranieri. Non è detto che l'intollerante capisca che è meglio combinare legalità e umanità per salvare la convivenza civile di fronte al carattere strutturale delle migrazioni. E' certo che se c'è una sola possibilità di scalfirne le sicurezze, imbracciando le armi dell'invettiva, io mi brucio quella possibilità. Anzi, incoraggio il suo arroccamento e la sua “radicalizzazione”. Lo stigma sopraelevatore che ne ricavo mi rassicura, ma mi consegna all'incapacità di dialogare e di lottare per l'egemonia (come dicevano gli allievi di Gramsci). Oh, non è anche questo uno dei motivi che hanno cacciato le sinistre nell'isolamento coltivato come prova del proprio antagonismo? Non è forse vero che chi rifiuta le mediazioni, immagina un'impossibile lotta fino alla vittoria, cioè fino alla pacificazione che coincide con l'annientamento dell'avversario? Non è forse vero, invece, che ogni lotta comincia non perchè vuole durare in eterno, ma perchè vuole raggiungere un accordo, cioè un equilibrio più avanzato?
SCARPE ROTTE
Non è importante che io faccia l'ultimo prezzo per liquidare il mio riottoso interlocutore. E' invece decisivo cercare strategie efficaci per convincerlo ad esplorare idee e comportamenti diversi. Anche in questo caso, meglio costruire ponti che muri. Meglio trovare superfici di contatto che scavare abissi etici di incomunicabilità. Non è detto che la spunterò, ma ”è certo che l'intollerante escluso non potrà mai diventare un leale osservante della tolleranza”: l'ho imparato da Norberto Bobbio. Sentieri impervi. Queste sono le nostre scarpe rotte, “eppur bisogna andar”.
Mario Dellacqua

Vedi ALBERTO MINGARDI, Aiutare i migranti a casa loro?, "La Stampa", 29 settembre 2016, p. 29; GOFFREDO BUCCINI, Il modello di accoglienza, “Corriere della sera”, 25 ottobre 2016; GIOVANNI ORSINA, La reazione irrazionale, “La Stampa”, 26 ottobre 2016, p.23; ALESSANDRO DAL LAGO, Così la paura, “Il manifesto”, 27 ottobre 2016, p.1.

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