mercoledì 30 ottobre 2013

MACHIAVELLI ALL'ANGOLO

Quando si parla di Machiavelli, arriva puntuale il fine che giustifica i mezzi, con annessa riabilitazione blasfema del cinismo, della violenza e della falsificazione. E invece il segretario fiorentino semplicemente distingueva la morale dalla politica, che è l'arte (non la scienza) di governare e trasformare la realtà effettuale. La politica non è il tentativo velleitario di conformare la realtà dolorosa ed ostica ad un ideale prestabilito.
Il politico, dunque, deve possedere la virtù per esprimere capacità di progetto, ma deve sapersi muovere su un terreno dove l'uomo di tutti i tempi si conferma inesorabilmente come un impasto di passioni e aspirazioni contraddittorie: per esempio di securitas e di cupiditas.
La securitas ti chiede di star fermo e conservare l'assetto dato, ma la cupiditas (spinta al benessere, alla proprietà, al potere) ti porta senza sconti dalle parti del conflitto. Ed è il conflitto che fa andare avanti (progredire) l'umanità e diventa incubazione di nuovi più avanzati e moderni equilibri, sempre in divenire.

Il politico, dunque, deve cercare e dare ordine, ma sa che esso è sempre in movimento. Se vuoi governarne la direzione invece di lasciartene travolgere, ti serve la virtù del mugnaio che per fare il pane non teme di sporcarsi il grembiule di farina. Questa l'ho imparata una trentina di anni fa da Carlo Borra che l'aveva a sua volta imparata da Carlo Donat Cattin. Mi pare che don Milani da qualche parte dica le stesse cose. Nel “Principe” trovi il consiglio di “mai partirsi dal bene, potendo, saper intrare nel male, necessitato”. La purezza, specie se intesa come rifiuto del compromesso e della gradualità, finisce per funzionare da maschera che copre la rinuncia subalterna all'azione. E' l'anticamera della collaborazione passiva con lo status quo, solo addobbata da drappi incendiati di rabbia.
Una serata diversa, leggera e nello stesso tempo rigorosa, quella del 22 ottobre all'angolo. Certo, questi sono tempi in cui ci manca il moderno Principe (così Gramsci chiamava il partito inteso come intellettuale collettivo in marcia per la conquista dell'egemonia). E' già tanto se siamo capaci di “voltolare un sasso” per difenderci, qua e là, dal principino, dal Cavalier Cipolla, dalla golpe, dal lione, dall'oca giuliva, dal rottamatore e dalla pitonessa leopardata.

Mario Dellacqua   

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