Alla
dèbacle del lavoro di
fronte ai ricatti delle delocalizzazioni a briglia sciolta,
corrisponde la vittoria del capitalismo sulla democrazia, costretta a
subire l'allentamento dei vincoli legislativi e sindacali che ne
moderavano un'aggressività in perenne rigenerazione.
Anche
i perdenti si sono convinti, strada facendo, che il prezzo del lavoro
deve scendere, perchè solo la sua vorticosa corsa verso il basso
aiuterebbe a riconquistare la competitività perduta e ad aumentare
l'occupazione. Invece, la flessibilità rastrellata grazie alla
vittoriosa guerriglia globale contro le resistenze sindacali ha
svuotato tutele e sicurezza del lavoratore, ma non ha aperto spazi a
nuovo lavoro.
“Sbilanciamo
l'economia” è il recente libro edito da
Laterza con cui Giulio Margon (deputato indipendente di SEL) e Mario
Pianta (professore di Politica Economica all'Università di Urbino)
ci vogliono dire che una via di uscita c'è, a dispetto di una
società frantumata, di un'economia in recessione, di una politica
impotente e compromessa con il pensiero liberista.
Un'altra
possibilità c'è sempre, ma non - neanche stavolta - senza lotte
sociali, civili, politiche e culturali. Non senza sperimentazioni
sempre in bilico col pericolo di fallimento di altri modi di
produrre, di consumare, di spendere, di risparmiare, di calcolare il
progresso e di misurare il benessere. Il conflitto sociale, anche
nell'Italia in declino, sembra invece scomparso, sostituito dal
disprezzo trasversale e rancoroso per la casta.
Secondo
Margon e Pianta, la scelta alternativa è fra tagliare e
redistribuire. Fra uguaglianza e privilegio. Fra riconversione
ecologica dell'economia e autodistruttiva pianificazione del
risparmio competitivo che annienta, col suo successo, le libertà, il
reddito e i poteri del lavoro e dei sempre meno numerosi cittadini
che lo posseggono in forma stabile.
In
un Paese dove “nove italiani su dieci stanno
peggio di dieci anni fa”, Margon e Pianta
ci offrono elementi di un programma per un governo di rottura
democratica e di cambiamento economico inserito in una dimensione
europea. Ma non fanno finta che l'alternativa sia possibile senza
riforma della politica, senza la sua quotidiana democratizzazione,
senza liberarsi dell'idea che la democrazia si esalta e si esaurisce
nel conteggio delle crocette elettorali. “Le scorciatoie non
esistono, la denuncia della casta non riforma la politica” e
“contrapporre società civile (buona) ai partiti (cattivi) è
illusorio”. Molto forte – e per me assai convincente - è la loro
denuncia della galoppante degenerazione che abbrutisce la politica.
Certo, i due autori non si accontentano di parlamentari pagati meno
ma ugualmente proni di fronte ai dogmi della finanza. Bisogna colpire
i privilegiati dalla politica che divorano i milioni, senza assolvere
i poteri che assoldano quei privilegiati per rubare i miliardi.
Tuttavia, i vecchi partiti con i loro difetti, la loro ideologia, le
loro classi sociali, la loro vita democratica e i loro apparati
presto diventati gerarchie hanno lasciato il posto a federazioni
volatili di notabili impegnati a scomporre e a ricomporre i loro
mutevoli vincoli per conquistare il controllo dei poteri pubblici. La
mutazione genetica in corso li ha trasformati in quinquennali
macchinette elettorali che attribuiscono al valore della
partecipazione un'avvilente funzione decorativa. Il cittadino è
ridotto alla stregua di un consumatore che con il carrello sceglie al
supermercato il prodotto lì per lì apparentemente più gradevole.
Alla spietata e passiva ricerca di un leader televisivamente
simpatico, è uno spettatore che fischia o applaude non potendo
concorrere in alcun altro modo alla scelta tra idee e programmi in
gara.
Recuperando
il Norberto Bobbio del 1976, Margon e Pianta ci spiegano che la
democrazia è “sovversiva”
di ogni potere politico o economico o famigliare o religioso che
scende dall'alto. Al contrario, la democrazia è una possibilità da
scandagliare perchè sale dal basso. Ce l'aveva insegnato anche
Lukàcs, il vecchio ungherese.
Anche
la politica deve sbilanciarsi, se vogliamo sbilanciare l'economia. Si
potrebbe cominciare nei Comuni moltiplicando le esperienze dei
bilanci partecipati e si potrebbe proseguire in Europa collegando i
movimenti politici e sociali che stanno combattendo la crisi
esplorando le strade della redistribuzione e della riconversione. Ma
per ricominciare una nuova storia bisogna pur finire la vecchia. Dai
vecchi gruppi dirigenti e dalle attuali formazioni politiche verranno
solo trattative, ricomposizioni, accordi, resistenze e altre cordate
troppo attente alla loro riproduzione. Meglio un esemplare
autoscioglimento collettivo e l'apertura di una stagione costituente
democratica, plurale, partecipata, con il diritto di contare ogni
testa un voto.
Mario
Dellacqua
G.
MARGON-M. PIANTA,
Sbilanciamo l'economia Una via d'uscita dalla crisi, Laterza,
p.185, euro 12.
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