martedì 7 ottobre 2014

Fausto Bertinotti a Todi Gianni Marchetto a None

Il 23 settembre l'intervista con Fausto Bertinotti ci ha portato una visita inattesa e gradita. Gianni Marchetto, lui che vive a Venaria, è venuto a trovarci all'angolo di via Roma 11. Con il suo passato di dirigente sindacale della Fiom a Mirafiori negli anni Sessanta e Settanta, stretto collaboratore di Bertinotti quando l'ex segretario rifondarolo guidava la Camera del Lavoro di Torino con Emilio Pugno, Tino Pace e Gianni Alasia, Marchetto era interessato a discutere dei punti controversi sollevati da Bertinotti. Non gli importava se eravamo quattro gatti.

L'intervento di Bertinotti a Todi, sollecitato dalle domande del Direttore di Radio Radicale, delude quanti vi vogliono trovare il segno di un clamoroso “pentimento” dell'ex Presidente della Camera e non accontenta i fogli della destra ai quali non sembra vero di poter annunciare l'ennesima ingloriosa migrazione di un leader dell'antagonismo sociale nel campo del pensiero liberale.

Nell'intervista, Bertinotti conferma la sua intransigente critica della subalternità all'egemonia stalinista dimostrata dai comunismi europei e dagli intellettuali orbitanti in quell'area. Piuttosto, egli sottolinea che la ripresa della sinistra (da lui data per scomparsa) può venire solo dalla contaminazione laboriosa fra cultura dei diritti della persona (di cui è portatrice la tradizione liberale), cultura della solidarietà (rappresentata da un cattolicesimo rinnovato con l'irruzione della personalità anomala di Papa Francesco), cultura dell'uguaglianza (stella polare per i socialismi di tutte le latitudini e di tante lotte civilizzatrici dell'Occcidente capitalistico).

Quel che non piace a Machetto dell'intervista a Bertinotti è la rappresentazione apocalittica di una sinistra sconfitta dall'onnipotenza della globalizzazione. Quel muro che ora sembra insormontabile, secondo Marchetto ha molte crepe che possono diventare varchi aperti alla ripresa del conflitto sociale se si ritrova il coraggio del rinnovamento e della rottura. Ma la sinistra che abbiamo conosciuto e visto perdere la sua rappresentatività deve smetterla di dividersi e di riunirsi quando si tratta di decidere chi deve fare il Sindaco o il parlamentare. Meglio se organizza dal basso un movimento di Sindaci e di comunità locali disobbedienti.

Disobbedienti non vuol dire chiedere voti con il miglior candidato sul mercato per poi amministrare spiegando che purtroppo questo si deve o non si può fare perchè ce lo chiede o ce lo impone l'Europa, il governo o la Regione: questa è tra l'altro la radice materiale della crisi verticale di credibilità che investe la politica di tutte le fazioni in lotta per il potere. La tendenziale scomparsa delle differenze non nasce solo per via della dilagante corruzione e del dilagante arrivismo, ma per la dilagante viltà diffusa nel ceto politico di fronte ai dogmi delle banche e delle multinazionali.

Disobbedienti vuol dire organizzare la resistenza e le rivendicazioni dei popoli, delle famiglie e dei territori a tutela delle conquista dello Stato sociale contro i tagli dei servizi alla persona nel campo della scuola, della sanità, dei trattamenti pensionistici, della sicurezza nei posti di lavoro.

Per ottenere con le leggi e con i contratti risultati parziali nella direzione giusta, “bisogna – dice Marchetto – saper trovare le pietre che rompono i vetri nelle finestre giuste”. Non servono le fiammate di rabbia, perchè facilmente riassorbibili e rientrabili nel solco della rassegnazione e della passività. Marchetto, invece, ci ha raccontato di essere stato attratto dall'impegno politico e sindacale non quando ha incontrato gente arrabbiata, ma quando ha conosciuto animatori con la casa piena di libri e di inviti ad istruirsi, a riflettere, a tessere con pazienza, ascolto e buoni argomenti, una rete associativa fatta di incroci, contaminazioni e collaborazioni fra sezioni, cooperative, periodici locali, sindacati, oratori, amministrazioni municipali.

Le cose vanno male anche perchè questo grande patrimonio di esperienze sociali e popolari frutto dell'autogestione e dell'imprenditorialità proletaria (una feconda originalità italiana) è stato progressivamente smantellato e persino deriso come roba vecchia da rottamare per opera dei nuovi protagonisti della politica: al posto del partito il comitato elettorale, il tifo al posto dell'impegno quotidiano, il leader al posto della partecipazione, lo spettacolo al posto dell'istruzione, la televisione al posto della biblioteca, del teatro e della musica popolare.

Quel che non convince, invece, secondo me, dell'intervista di Bertinotti è la disinvolta e spregiudicata grande rimozione della ventennale esperienza rifondarola. E' stato leader di un partito che contava e pesava nella politica italiana. Ma quell'influenza è stata usata per appoggiare e per far cadere, in rapida successione, governi di centrosinistra di incerta efficacia riformatrice. Il “vinto giusto”, così graffiante nell'eleganza con cui sa citare Keynes, Sartre, Cristo, Citto Maselli o il Papa, non ha rischiato una sola parola per fare un bilancio di questa devastante coazione a ripetere ora perchè bisognava appoggiare, ora perchè bisognava rompere. Nel primo caso, finiva bersaglio di crescenti rivendicazioni insoddisfatte e accusato di subalternità governativa. Nel secondo caso, finiva condannato ad una marginale deriva protestataria. Una reticenza che ferisce.

Mario Dellacqua

1 commento:

  1. Preferisco tener conto dell'analisi di Marchetto anche se voglio ribattere che, quando a sinistra si arriva a "dividersi" per l'elezione di un sindaco o parlamentare, è perchè si è percepito che sono venuti meno i presupposti culturali e politici comuni.
    Infatti se non lo si intuisce subito si trascina penosamente la situazione e si fa la fine della "rana bollita" logorandosi con reciproci ricatti e relative figuracce come quelle che oggi sta facendo la Sinistra PD.
    Io credo che anche nelle istituzioni sia meglio "portarsi avanti" e cominciare subito a ricostruire su basi nuove perchè, sia in un piccolo paese, sia in una grande nazione, non può mancare una Sinistra seria, etica nei comportamenti oltre che coerente nell'impegno a dare voce e dignità al mondo del lavoro.
    Prima si semina, prima si raccoglie e si sta al passo e, possibilmente, alla guida di situazioni nuove che vanno maturando.
    Domenico Bastino

    RispondiElimina