Il
23 settembre l'intervista con Fausto Bertinotti ci ha portato una
visita inattesa e gradita. Gianni Marchetto, lui che vive a Venaria,
è venuto a trovarci all'angolo di via Roma 11. Con il suo passato di
dirigente sindacale della Fiom a Mirafiori negli anni Sessanta e
Settanta, stretto collaboratore di Bertinotti quando l'ex segretario
rifondarolo guidava la Camera del Lavoro di Torino con Emilio Pugno,
Tino Pace e Gianni Alasia, Marchetto era interessato a discutere dei
punti controversi sollevati da Bertinotti. Non gli importava se
eravamo quattro gatti.
L'intervento
di Bertinotti a Todi, sollecitato dalle domande del Direttore di
Radio Radicale, delude quanti vi vogliono trovare il segno di un
clamoroso “pentimento” dell'ex Presidente della Camera e non
accontenta i fogli della destra ai quali non sembra vero di poter
annunciare l'ennesima ingloriosa migrazione di un leader
dell'antagonismo sociale nel campo del pensiero liberale.
Nell'intervista,
Bertinotti conferma la sua intransigente critica della subalternità
all'egemonia stalinista dimostrata dai comunismi europei e dagli
intellettuali orbitanti in quell'area. Piuttosto, egli sottolinea che
la ripresa della sinistra (da lui data per scomparsa) può venire
solo dalla contaminazione laboriosa fra cultura dei diritti della
persona (di cui è portatrice la tradizione liberale), cultura della
solidarietà (rappresentata da un cattolicesimo rinnovato con
l'irruzione della personalità anomala di Papa Francesco), cultura
dell'uguaglianza (stella polare per i socialismi di tutte le
latitudini e di tante lotte civilizzatrici dell'Occcidente
capitalistico).
Quel
che non piace a Machetto dell'intervista a Bertinotti è la
rappresentazione apocalittica di una sinistra sconfitta
dall'onnipotenza della globalizzazione. Quel muro che ora sembra
insormontabile, secondo Marchetto ha molte crepe che possono
diventare varchi aperti alla ripresa del conflitto sociale se si
ritrova il coraggio del rinnovamento e della rottura. Ma la sinistra
che abbiamo conosciuto e visto perdere la sua rappresentatività deve
smetterla di dividersi e di riunirsi quando si tratta di decidere chi
deve fare il Sindaco o il parlamentare. Meglio se organizza dal basso
un movimento di Sindaci e di comunità locali disobbedienti.
Disobbedienti
non vuol dire chiedere voti con il miglior candidato sul mercato per
poi amministrare spiegando che purtroppo questo si deve o non si può
fare perchè ce lo chiede o ce lo impone l'Europa, il governo o la
Regione: questa è tra l'altro la radice materiale della crisi
verticale di credibilità che investe la politica di tutte le fazioni
in lotta per il potere. La tendenziale scomparsa delle differenze non
nasce solo per via della dilagante corruzione e del dilagante
arrivismo, ma per la dilagante viltà diffusa nel ceto politico di
fronte ai dogmi delle banche e delle multinazionali.
Disobbedienti
vuol dire organizzare la resistenza e le rivendicazioni dei popoli,
delle famiglie e dei territori a tutela delle conquista dello Stato
sociale contro i tagli dei servizi alla persona nel campo della
scuola, della sanità, dei trattamenti pensionistici, della sicurezza
nei posti di lavoro.
Per
ottenere con le leggi e con i contratti risultati parziali nella
direzione giusta, “bisogna – dice Marchetto – saper trovare le
pietre che rompono i vetri nelle finestre giuste”. Non servono le
fiammate di rabbia, perchè facilmente riassorbibili e rientrabili
nel solco della rassegnazione e della passività. Marchetto, invece,
ci ha raccontato di essere stato attratto dall'impegno politico e
sindacale non quando ha incontrato gente arrabbiata, ma quando ha
conosciuto animatori con la casa piena di libri e di inviti ad
istruirsi, a riflettere, a tessere con pazienza, ascolto e buoni
argomenti, una rete associativa fatta di incroci, contaminazioni e
collaborazioni fra sezioni, cooperative, periodici locali, sindacati,
oratori, amministrazioni municipali.
Le
cose vanno male anche perchè questo grande patrimonio di esperienze
sociali e popolari frutto dell'autogestione e dell'imprenditorialità
proletaria (una feconda originalità italiana) è stato
progressivamente smantellato e persino deriso come roba vecchia da
rottamare per opera dei nuovi protagonisti della politica: al posto
del partito il comitato elettorale, il tifo al posto dell'impegno
quotidiano, il leader al posto della partecipazione, lo spettacolo al
posto dell'istruzione, la televisione al posto della biblioteca, del
teatro e della musica popolare.
Quel
che non convince, invece, secondo me, dell'intervista di Bertinotti è
la disinvolta e spregiudicata grande rimozione della ventennale
esperienza rifondarola. E' stato leader di un partito che contava e
pesava nella politica italiana. Ma quell'influenza è stata usata per
appoggiare e per far cadere, in rapida successione, governi di
centrosinistra di incerta efficacia riformatrice. Il “vinto
giusto”, così graffiante nell'eleganza con cui sa citare Keynes,
Sartre, Cristo, Citto Maselli o il Papa, non ha rischiato una sola
parola per fare un bilancio di questa devastante coazione a ripetere
ora perchè bisognava appoggiare, ora perchè bisognava rompere. Nel
primo caso, finiva bersaglio di crescenti rivendicazioni
insoddisfatte e accusato di subalternità governativa. Nel secondo
caso, finiva condannato ad una marginale deriva protestataria. Una
reticenza che ferisce.
Mario
Dellacqua
Preferisco tener conto dell'analisi di Marchetto anche se voglio ribattere che, quando a sinistra si arriva a "dividersi" per l'elezione di un sindaco o parlamentare, è perchè si è percepito che sono venuti meno i presupposti culturali e politici comuni.
RispondiEliminaInfatti se non lo si intuisce subito si trascina penosamente la situazione e si fa la fine della "rana bollita" logorandosi con reciproci ricatti e relative figuracce come quelle che oggi sta facendo la Sinistra PD.
Io credo che anche nelle istituzioni sia meglio "portarsi avanti" e cominciare subito a ricostruire su basi nuove perchè, sia in un piccolo paese, sia in una grande nazione, non può mancare una Sinistra seria, etica nei comportamenti oltre che coerente nell'impegno a dare voce e dignità al mondo del lavoro.
Prima si semina, prima si raccoglie e si sta al passo e, possibilmente, alla guida di situazioni nuove che vanno maturando.
Domenico Bastino