martedì 14 ottobre 2014

PARTIGIANI PART TIME SULLE RIVE DEL CHISOLA

L'ex Sindaco Viroglio
Non sono sicuro, ma non sono molti i libri che studiano la Resistenza in pianura. E nessuno ricostruisce la Resistenza a None, mentre abbondante è la produzione di ricerche sulla Resistenza in montagna, nelle città e nelle fabbriche. Lì la linea di divisione era più visibile e più lacerante. Ma in tanti paesi della pianura come None, le superfici di contatto tra i due campi in mortale competizione erano meno eccezionali e può sollevare sorpresa o addirittura indignazione la smentita dello stereotipo: ogni cascina, cortile, stalla, negozio o mulino doveva imparare a convivere di volta in volta con tedeschi, partigiani e repubblichini di Salò. L'odio per i tedeschi era prevalente, ma l'arrivo di chiunque si presentava per reclamare viveri, scarpe, coperte, benzina, polli, mucche o maiali metteva a dura prova la resistenza di chiunque, anche se ben intenzionato a soppesare le differenze fra gli uomini della dittatura e i combattenti della libertà.
Di qui l'idea molto cara a una destra insidiosa e ancor oggi popolare secondo la quale i partigiani erano anche loro un po' fascisti perchè usarono la violenza. O piuttosto opportunisti perchè rubagalline nella favorevole confusione della borsa nera. O piuttosto voltagabbana come il peggio degli italiani, pronti a tradire non appena il vento cambia direzione. O irresponsabili avventurieri che esponevano i villaggi alle rappresaglie con le loro incursioni, mentre sarebbe stato più saggio attendere la liberazione dagli eserciti e non dai popoli. O arrivisti perchè approfittarono della visibilità acquisita durante la guerra per rimediare un posto in Parlamento.

Questa vulgata serpeggiante anche dalle parti del Chisola (e in Italia oggi autorevolmente interpretata dalle opere di Pansa) produsse a None l'idea che la banda partigiana di Michele Ghio fosse guidata da un sapiente regista del doppio (se non triplo) gioco. Come ci racconta il libro di Simone Baral e di Matteo Comello, Ghio era commissario prefettizio (cioè un uomo al servizio del regime fascista). Ma, contemporaneamente, era fiduciario di un agente segreto inglese come Pat O'Regan, (cioè un uomo agli ordini degli alleati). E, per completare i connotati di una pessima carta d'identità, Ghio era anche, di fatto, luogotenente in pianura di Giulio Nicoletta, comandante della 43° Divisione autonoma “Sergio De Vitis” (cioè un uomo controllato dalle formazioni partigiane). Ne esce un quadro della Resistenza a tinte fosche e cariche di ambiguità, aggravato dalla non troppo sotterranea competizione, ingloriosamente divampata nei primi mesi del 1945 fra “Giustizia e Libertà” e la 44a Divisione Alpina Autonoma di Maggiorino Marcellin (Bluter), per l'egemonia in pianura diventata strategica nel controllo dei flussi di rifornimenti in armi e in viveri assicurati dagli aviolanci notturni. A garantirne l'effettuazione era la rischiosa assistenza allestita nei boschi della “Crupa” a None dalla brigata “Michele”, solo dopo il 25 aprile dedicata alla memoria del giovane caduto Edoardo Dabbene.
Un momento della serata
Come ha più volte sottolineato Marco Comello, la presenza di una simile banda, composta di partigiani part time, quotidianamente alle prese con la minaccia delle ambiguità imposte dal particolare contesto pianurale, poteva considerarsi un miracolo.
Per questi motivi, rispetto, ammiro e difendo la figura e l'opera di Michele Ghio uomo della Resistenza. Di giorno tesseva con i nazifascisti una rete di mediazioni protettive della popolazione. Di notte organizzava gli aviolanci, come ci hanno confermato le testimonianze di due ex Sindaci di None come Giuseppe Viroglio e Domenico Bastino. Primo, non so chi, al suo posto, avrebbe saputo fare di meglio. Io no di certo. Secondo, vorrei che i suoi sommersi critici dicessero che cosa hanno fatto nell'Italia repubblicana per preparare un ceto politico e un tessuto democratico più coraggioso, meno compromesso, più battagliero, più onesto, più limpido e più competente: d'altra parte, nel dopoguerra, nessun tedesco come Cronis ci minacciava con la rivoltella e non era necessario tener conto del contesto per poter aprire bocca e camminare a schiena dritta.
Sulle rive del Chisola, la partecipazione democratica alla lotta politica, l'impegno sindacale, la militanza di partito è stata oggetto di derisione, paura o disprezzo: un contagio dal quale stare alla larga per non contrarre la malattia che porta a impicciarsi di cose sporche e degli affari altrui. L'indifferenza e la sordità travestite da neutralità sono spacciate come una forma di moralità superiore. Questa idea tipicamente fascista è oggi vincente e striscia trionfante e libera nell'affabulazione leghista, berlusconiana, renziana o grillina: il mascellone di Predappio ha saputo prendersi la sua vendetta postuma e in ogni schieramento riscuote senza trovare soverchie opposizioni una percentuale lusinghiera di applausi, di “mi piace” e di condivisioni.
Terzo, non dobbiamo temere di esplorare le ambiguità della Resistenza, perchè quello di svelarle, rivelarle e comprenderle invece di censurarle è l'unico modo per salvare lo spirito di un grande movimento che fu capace di prepararci le condizioni della libertà, del benessere e della pace, pur nel carattere numericamente minoritario, politicamente eterogeneo nelle sue ispirazioni, socialmente contraddittorio nella sua composizione umana.
Indaghiamo pure debolezze e fragilità altrui, ma non perdiamo di vista il nostro dovere. Non avremmo avuto la Repubblica se le minoranze attive e consapevoli, invece di gettarsi nella lotta con i loro difetti, avessero aspettato che la maggioranza si depurasse dei suoi. Una volta imparato che nessuna conquista è definitiva e sicura, la lezione è la solita: non avremo giorni migliori senza lotta sociale e senza impegno politico. Anche part time.
Mario Dellacqua

SIMONE BARAL – MATTEO COMELLO, Pat O'Regan, Michele Ghio e gli altri. Un agente segreto tra i partigiani di None e dintorni, Edizioni Artemide, Roma 2014, euro 15.

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