Nel film “La Rosa
bianca” la scena
più appassionante riprende l'aula del
processo stipata di
ufficiali con il
braccio teso nel
saluto al Fuhrer,
mentre i tre
imputati con ostentata indifferenza sfidano la
corte tenendo basse
le loro mani
in atteggiamento di
studiata passività.
La vicenda del
gruppo di studenti che nella Monaco
del 1943 diffondeva clandestinamente all'università volantini antinazisti, mi ha
impressionato per tante
ragioni. Se si
esclude la sequenza finale dell'esecuzione, il film del
2005 non cede alla
rappresentazione monumentale della
violenza, anche se
la verità storica consentirebbe di registrare le torture subite
da Sophie Scholl
durante la sua
breve detenzione. Piuttosto, la riprovazione del
nazismo è suggerita grazie all'accento posto sulla pervasiva violenza morale che
abbrutisce gli uomini
e rende la
codardia degli umili
ancora più odiosa
dell'aggressività degli
aguzzini e dei
gerarchi. Inoltre, la fierezza morale a cui
pervengono i tre
giovani condannati alla
pena capitale, passa attraverso il riconoscimento della
loro fragilità. Senza quei
sacrifici, nella seconda metà del Novecento la dignità umana
e la civiltà europea sarebbero state
meno libere e
ancora più ingiuste.
Devo poi avere
qualche rotella che
non funziona, visto che
sono attratto quasi
morbosamente da queste
storie di eroismo che ammiro con
devozione religiosa. Dopo tutto,
qualche milione di
italiani come me
ha respirato fin
da bambino l'odio per
la guerra. Non solo
a me è
capitato di avere
un padre che
è tornato silenzioso e squinternato dalla
prigionia in America. Non solo a
me è capitato di avere una
madre che non
ha mai saputo
perdonare ai nazifascisti la
morte in guerra
di due suoi
fratelli, uno in
Germania e l'altro in
Russia (21 e 22 anni). E li
ha pianti fino
all'ultimo.
Mi chiedo perchè
l'antifascismo italiano, nella sua veste
ufficiale e nelle
sue mille forme
di coltivazione popolare della memoria, abbia sempre
lasciato in ombra
questi fulgidi esempi
tedeschi di sacrificio consapevole per la libertà (felice eccezione il
Comune di Torre
Pellice che nel
2010 ha dedicato un
giardino ai
martiri della Rosa Bianca).
Mi chiedo perchè,
per salvaguardare l'efficacia persuasiva della sua propaganda tricolore, il nostro
antifascismo abbia accettato di veicolare un'ingiusta e
semplificata identificazione del
popolo tedesco con
il nazismo. Mi chiedo
se sia un
caso che il
regista (Marc Rothemund) sia tedesco. Mi chiedo
se sia questa
la ragione per
cui la nostra
copiosa toponomastica risorgimentale, sulla prima guerra mondiale e
resistenziale abbia ignorato Sophie Scholl e
la sua Rosa
bianca, come se
l'antifascismo fosse
un fenomeno patriottico gloriosamente italiano e
non europeo. E quando
apprendo che si
chiede al Comune
di None di
dedicare una via
al motociclista scomparso in un incidente di gara, so di
non dover condannare, ma il raffronto mi fa ugualmente correre lungo la
schiena un brivido di umiliazione.
Resta poi la
domanda cruciale puntualmente rivoltami da un amico:
ma chi glielo
ha fatto fare,
di rischiare la
vita e di
perderla così? Gli studenti della Rosa Bianca
potevano continuare a
studiare a spese
del Reich. E i
giovani italiani, dopo l'otto settembre, potevano aspettare. Dopo tutto,
gli americani erano
in arrivo. Il generale Alexander aveva suggerito di sospendere i
combattimenti. Si sarebbero evitate molte rappresaglie con
troppi morti innocenti sulla coscienza. A intestardirsi nella
lotta ci avrebbe rimesso solo la
popolazione civile. Infatti, ancora oggi,
ad ogni Giorgio Bocca che ci
lascia, i detrattori della Resistenza salgono in cattedra per
dire che essa
fu non il
riscatto dalle vergogne di un ventennio, ma il sostanziale tradimento di un
popolo di voltagabbana. Ed esibiscono come un trofeo
le mille certificazioni della
festosa appartenenza giovanile dei futuri capi
dell'Italia repubblicana ai
gruppi sportivi, letterari, cinematografici, studenteschi, giornalistici della
galassia fascista. Dunque, coerenza imponeva ai giovani di
continuare a “fare il proprio dovere”, cioè ad
obbedire combattendo alle
dipendenze dei nazisti. In subordine, erano caldamente consigliati di stare
a casa e
la guerra sarebbe finita da sola.
Sarebbero stati gli
alleati a liberarci, non una minoranza di duecentomila sbandati e inaffidabili oppositori dell'ultima ora.
Oggi i nemici
giurati della Resistenza non si accontentano di
chiacchiere. Non vogliono una società di
cittadini liberi perchè
consapevoli dei loro
diritti e dei
loro doveri. Vogliono una
caserma di sergenti ringhiosi, di caporali entusiasti per il
diritto di prendersela con reclute servili e di boriosi culi di pietra,
pronti a consegnare ai famigliari delle
vittime una medaglia al valor militare.
“La Rosa
Bianca”, un film di Marc Rothemund con Julia Jents, Gerald Alexander Eld, Johanna Gastdorf, Fabian Hinrchs, André Hennicke. Titolo originale “Sophie Scholl”
(2005).
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