Aveva vent'anni e mi chiese che cosa poteva leggere
per
capirci
qualcosa.
Restai
interdetto:
Lettera
a
una
professoressa? Simone Weil? Il manifesto comunista del 1848? Poi mi decisi a rifilargli “Io garantito” che Liberato Norcia aveva pubblicato nel 1980 grazie ad Edizioni Lavoro. Non ricordo dove Bruno Manghi definì “sempre fondamentale” quell'autobiografia
del leader operaio di Mirafiori. Ora Norcia ha fatto il bis di testa sua. Ma stavolta,
questo
testardo
dell'Irpinia partito bracciante e garzone di bottega dal Comune di Greci per diventare operaio europeo, ha voluto fare da solo. Potrò sbagliare, ma in questa seconda opera supera se stesso. Il suo eloquio è un fiume in piena che scorre senza le discipline della punteggiatura, neanche fosse una pagina levigata dalla mano di Saramago.
Un lungo monologo interiore che, dai tedeschi a “Servire il popolo”, naufraga
senza
briglie
in
un
flusso
di
coscienza
con
i
suoi
anacoluti,
i
suoi
andirivieni,
le
sue
espressioni
dialettali,
le
sue
sconnessioni sintattiche tipiche del parlato trasferite nello scritto senza mediazioni.
In questo libro dal titolo chilometrico e improponibile,
Norcia
non
si
lascia
confezionare e non confeziona. Si congeda dalla rabbia che tante volte è stata il suo
pane quotidiano e si diverte in piena libertà percorrendo a ritroso il suo viaggio alla volta dell'utopia attraverso la concretezza di tanti lavori cominciati da ragazzo: venditore di tabacco e di ortaggi, barbiere, manovale edile, mietitore, raccoglitore di rifiuti, garzone di bottega, ancora barbiere, nuovamente manovale edile, imbianchino, aiutante in un negozio di alimentari, un altro giro nell'edilizia, manovale delle ferrovie in Germania, manovratore e addetto allo smistamento pacchi, cardatore e, finalmente, Mirafiori. Ultima tappa: bidello e ora anche pittore che parla tedesco e studia inglese.
Mirafiori finalmente, ma prima di tutto. Senza Mirafiori,
forse
Norcia
non
avrebbe
potuto
illuminare
il
significato
di
questo
itinerario
ubriacante,
doloroso
e
suggestivo
che,
ad
ogni
tappa,
gli
offriva
una
nuova
occasione
di
protagonismo e non di esibizionismo, di fraternità e di spirito unitario, non sempre spontaneo in quei tempi. Mirafiori fu il prisma che gli permise di vedere anche all'indietro dov'è campo e dov'è prato, ma rivelò anche che la vita non è tutto necessariamente prato o campo: ci sono mille sfaccettature da cogliere, impazienze da governare, attese da amministrare senza pretendere che capiti a noi la fortuna di dare il giro alla baracca. E, gratis, gli capita tra le mani la poesia, utile a nobilitare la memoria di un'infanzia trascorsa
alle prese con gli animali, gli zingari e il grano, dove i covoni “sembravano
tante piccole case con i tetti spioventi”. Senza Mirafiori, Norcia avrebbe
scovato per noi la poesia tra le narici della sua asina? “L'odore della
stalla non mi dava fastidio e l'odore dello sterco, coperto dal profumo del
fieno, per me diventava persino gradevole (..) Mi avvicinavo a lei e le facevo
una carezza sulla fronte, mentre lei alzava la testa fino a toccarmi la fronte
con il muso e con le narici mi soffiava sopra. Io l'abbracciavo felice e lei
rimaneva ferma, ascoltavamo entrambi l'amore che ci univa”. Già allora,
nell'autentica babilonia delle fiere di paese, Norcia soffriva con i “nitriti
inconsolabili” della giumenta “che non voleva seguire il padrone”, mentre
il puledro “tentava di sottrarsi al nuovo proprietario per ricongiungersi
alla madre”. Viene in mente il celebre bufalo di Rosa Luxemburg nelle cui
lacrime la grande comunista vede le sue stesse lacrime, simbolo del dolore
universale di tutti gli oppressi. E viene in mente il protagonista della malora
fenogliana che, derubato delle mele in composta e dei pesci marinati per il
fratello seminarista, sfoga la sua amarezza posando il suo braccio sulla
giogaia di una bestia nella stalla, istintivo gesto di solidarietà che unisce
le creature innocenti, le distingue e le aiuta a resistere contro la ferocia
anonima della povertà.
Un libro da leggere, anche se non c'entra niente il titolo
che Liberato ha voluto dare alla sua opera. Anche se possono non essere
condivisi i suoi giudizi sulla stagione sindacale e politica che l'ha visto in
prima fila nella più grande fabbrica d'Europa. Non saprei proprio che cosa
domandare a Marchionne. Piuttosto, vorrei tanto sapere che cosa pensa ora
l'amico a cui vent'anni fa ho suggerito di leggere “Io garantito”. Ora
si è diplomato. Ha due bambini e un ristorante ben avviato.
Antonio e Claudio, i figli di Norcia, sono uno medico
dentista e l'altro odontotecnico: “anche l'operaio vuole il figlio dottore”,
come canta(va) il sogno di “Contessa”. Liberato ha festeggiato i
suoi 50 anni di matrimonio nella chiesa di Greci, in provincia di Avellino,
riunendo tutta la sua famiglia attorno alle sue radici di "arbëreshë": “è stata una gioia
immensa”. C'era un'immagine migliore per concludere il suo libro?
Mario Dellacqua
D.
L. NORCIA, Quello che ho chiesto trent'anni fa all'onorevole Berlinguer e
quello che chiederei oggi all'ingegner Sergio Marchionne, Legma Edizioni,
Torino 2011, euro 10.
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