"Le cose buone non importa da dove arrivano” e Gianluigi Saccione ci informa che Ascanio Celestini ha pubblicato sul suo sito http://www.ascaniocelestini.it/ e su quello di Beppe Grillo una nota sul caso degli anarchici a cui viene negli ultimi tempi attribuita la responsabilità della rinascita del terrorismo in Italia. “E' strano che questo gruppo si definisca FAI, quando il FAI che conosciamo da qualche decennio è tutt'altra cosa: la Federazione Anarchica Italiana che, l'ultima volta che è stata armata, è stata durante la seconda guerra mondiale, durante il periodo della lotta di liberazione nazionale e della lotta partigiana. Dopodiché le armi sono state posate”. Non possiamo certo rimuovere il regicidio di Umberto I ad opera dell'anarchico Gaetano Bresci nel 1900. Come scrive Toni Ferigo sul blog www.sindacalmente.org, “la storia della tradizione anarchica è certamente una storia di utopia, che ha conosciuto episodi di disordine e violenza, per lo più ad opera di singoli individui”. Ma “fu un movimento che aiutò decisamente a creare una coscienza dei diritti della classe lavoratrice, a darle un senso di autostima, di orgoglio e dignità sociale, affermando che l'eguaglianza non doveva essere solo economica ma anche, fondamentalmente di diritti alla cultura e alla conoscenza”. Negarlo “è immiserire la storia. Gli anarchici furono fondatori di scuole, biblioteche, palestre, educatori, antimilitaristi ma in Spagna antifascisti in prima linea. Discussero molto tra loro, spesso molto polemicamente, pubblicarono riviste, fondarono associazioni di mutuo soccorso, sindacati, conobbero repressioni non solo da parte delle polizie. Basta leggere le lettere di Vanzetti alla nipotina per misurare lo spessore ideale e umano di molti libertari”. Ferigo dice che è “un film già visto: anarchia è caos, disordine, violenza di pochi per il rovesciamento dello stato. Associare all’anarchico Pinelli, che molti sindacalisti milanesi hanno avuto occasione di frequentare, anche uno solo di questi termini ( e auto definizioni) è, non solo ridicolo, ma nemico della verità”. D'altra parte, molti grandi dirigenti sindacali furono in gioventù anarchici. Tra essi Giuseppe Di Vittorio, Emilio Pugno, Bruno Trentin, Idolo Marcone. Una buona scuola di principi e coerenze, insomma!
“L'anarchico – scrive Ascanio Celestini - quantomeno cerca di vivere pensandola in questa maniera: non crede nella delega né quando è lui a delegare, né quando viene delegato o addirittura si autodefinisce come delegato di un popolo o di
una massa”.
Gli anarchici della Fai di Massa Carrara, quella a cui era iscritto Fabrizio De Andrè, in un comunicato respingono duramente ogni associazione arbitraria tra il loro movimento e la violenza armata. Principio fondamentale della loro azione e della loro presenza, è “la coerenza malatestiana fra i mezzi e i fini: lotta contro l'autorità senza mezzi autoritari”. Dunque sono estranei a “impresentabili avanguardie (i cosiddetti "anarchici informali"), convinte di poter indicare, nel loro delirio di forza, potere e violenza, la strada da percorrere. Una strada fatta di violenza e potere non può portare che a una società violenta e autoritaria. Del resto, la pratica vigliacca e infamante di usare la sigla della Federazione Anarchica Italiana serve solo per generare confusione e aprire la strada alla repressione, ed è chiaro indice della miseria morale di questi presunti libertari. Se non della loro equivoca natura. Storicamente, la Federazione Anarchica Italiana non è mai stata né mai ha voluto essere avanguardia di nulla e di nessuno. Non è mai stata né mai ha voluto essere "giudice" e boia, ma ha sempre duramente combattuto chi pensava di rappresentare gli interessi del mondo degli sfruttati ergendosi a giudice e giustiziere”.
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