Se per caso ti sei rotto di non
saper parlare di economia con la disinvoltura di quell'amico che ogni
tanto incontri dal panettiere, puoi provare a ridurre il divario con
“L'economia spiegata a un figlio”.
L'opera di Fabrizio Galimberti,
giornalista economico del “Sole-24 Ore”, già docente
all'Università di Roma e di Ferrara, risale al 2004, quando la
grande intossicazione dei mutui americani non era ancora straripata
in Europa, ma conserva intatta la sua straordinaria efficacia
didattica. Immaginando di dialogare con i suoi tre figli, Galimberti
non ti chiede il prerequisito dello studente secchione, allettato e
non intimidito dalla certezza di dover rosicchiare pane duro per i
suoi denti.
La familiarità del lessico
impiegato, la ricchezza di immagini ricavate dallo scorrere della
vita quotidiana e – soprattutto – l'intreccio sapiente e mai
saccente tra economia, letteratura, musica, cinema o gastronomia,
riducono la distanza tra lettore e una materia ostica e controversa.
Bacchelli, Verga, Clint Eastwood, Mark Twain, John Lennon, Sandokan,
Oscar Wilde, Steinbeck, il Signore degli Anelli, il Piccolo Principe,
la Bibbia, Pupi Avati, Dickens, Sherlock Holmes, Mercedes Sosa,
Gabriel Garcia Marquez insieme con tanto Adam Smith, ti possono
accompagnare verso la comprensione di azioni, società per azioni,
obbligazioni, svalutazioni, cambi, banche, prestiti di ultima
istanza...
L'economia studia le strategie
dell'efficienza e ricerca i percorsi da seguire per raggiungere il
massimo risultato con il minimo sforzo. Ma il perseguimento utopico
della giustizia e addirittura dell'ecologia si mettono tra i piedi e
ne rivelano l'impossibile autosufficienza. Nel grande contesto della
vicenda umana, molto più spesso di quanto non sembri, capita dover
constatare anche a babbo morto, che al medesimo problema non c'è una
sola soluzione obbligatoria. Molte volte sono molte le altre
possibilità. Non sono pochi i casi in cui la ricerca del minimo
forzo con il massimo risultato si è tradotta nel minimo risultato
con il massimo sforzo. Vittorio Foa e Sesa Tatò parlarono a lungo di
“eterogenesi dei fini” e Orso le chiamava “scorciatoie che
allungano”. Riprendendo le analisi di Ivan Illich e di Jean-Pierre
Dupuy, Zygmunt Bauman parla di “strategia delle lunghe deviazioni”
che finisce con l'allontanare gli obiettivi fino a renderne
impraticabile il raggiungimento.
I conti freddi e impietosi
dell'economia devono fare i conti con gli strattoni e le indebite
interferenze della politica, della psicologia, delle morali
religiose, dell'antropologia. Non so più chi lo diceva: se vuoi una
vita felice, l'economia non ha molto da dire: meglio rivolgersi alla
filosofia. Galimberti ha ben presente questa avvertenza, ma non la
usa come analgesico e come tranquillante etico. Semplicemente – in
prevedibile attesa di successive complicazioni – si impegna a
spiegarci in prima battuta che non esistono “pasti gratis”:
bisogna avere il coraggio di dire chi li paga, se si ha la lucidità
di non imboccare “allungatoie”. Un tappeto può nascondere la
voragine, ma devi prima vederla e misurarla, se poi vuoi dire come la
si riempie, chi e quando. Se non ci si presenta attrezzati a questo
appuntamento, tante bandiere con scritto trasporti, acqua, scuola,
sanità pubbliche, ma niente credibile programma di alternativa. Ma
questo è un altro paio di maniche (sempre lo stesso).
Insomma, se incroci Galimberti
dal panettiere, è elevato il rischio di uscire dall'incontro meno
ignorante, più consapevole di come va il mondo, più curioso, non
meno determinato nell'impegno politico, più pacificamente incline
all'autocritica e alla critica: anche verso lo stesso Galimberti che
non se la prenderebbe troppo, educato dai suoi figli a sopportare
domande impertinenti.
Ad esempio: Galimberti respinge
ogni ipotesi di riduzione dell'orario e di redistribuzione del lavoro
perchè rifiuta di pensare che in un paese ci sia una quantità fissa
di lavoro da spartire fra lavoratori. Il lavoro viene offerto dalle
imprese “se è conveniente produrre fatto un confronto fra costi e
ricavi. E i costi saranno minori (..) se il lavoratore è disposto a
lavorare più ore” (pag. 187). “Lavorare di più, lavorare
meglio, lavorare tutti” contro “lavorare meno per lavorare
tutti”. Nicola Cacace e Mario Pianta obietterebbero forse che in
Italia abbiamo il maggior numero di disoccupati e una bassa
percentuale di occupati in presenza di un numero di ore lavorate pro
capite superiore agli altri paesi europei.
Altro esempio: perchè
nell'edizione dell'anno scorso, cioè mentre la crisi avviata nel
2007-2008 continuava a prenderci a randellate, ha scritto ancora a
pag. 143 che dopo la Grande Depressione del 1929 “l'economia di
mercato sopravvisse e oggi possiamo dire che la lezione è stata
imparata, e un'altra Grande Depressione non sarebbe possibile. Ci
sono gli strumenti per impedirla” eccetera? Gli strumenti ci sono
ma, con il ricorso linguisticamente cerchiobottistico all'austerità
espansiva, abbiamo sin qui schiacciato la noce per essere ripagati
con un verme.
Forse Zygmunt Bauman storcerebbe
il naso davanti alla preventiva fede galimbertiana nell'efficacia
dell'egoismo riconosciuto come propulsore insostituibile di uno
sviluppo armonico dell'economia, che si avvantaggia degli incrementi
nella produzione e nei redditi perchè “la marea della crescita
solleva tutte le barche” (pag. 190), cioè, come diceva Ronald
Reagan, gli yacht, ma anche i pescherecci. E il grido “Arricchitevi!”
lo lanciò per primo nel 1848 il banchiere Guizot da Parigi, dove
studiò Deng Hsiao Ping che seppe come acclimatare il medesimo slogan
nella Pechino degli anni Novanta. “Solo in parte” (pag. 154),
Galimberti ritiene correggibile la tendenza dell'economia a crescere
portandosi appresso quel fardello variabile di disuguaglianze che
costituiscono il cruccio di Bauman.
A dire il vero, Galimberti non
milita nelle file dell'esercito che vuole lasciar libera la mano
invisibile del mercato. Egli crede nel potere innovatore e nelle
virtù calmieratrici della concorrenza: una camicia di forza capace
di “incanalare” un istinto primordiale e di inserirlo in un alveo
che “lasci libere le mani e la mente per fare cose buone e, allo
stesso tempo, impedisca di fare cose cattive” (pag. 52). Sostiene
che un'organizzazione razionale della società è il risultato
storico di un lungo processo di esperimenti riusciti, falliti,
riveduti, corretti, ignorati e applicati nella pratica. E', insomma,
un tutto che “è più della somma delle parti” (pag. 56). E'
aperta la lotta per ricondurre il capitalismo sotto il controllo
pubblico della democrazia, giacchè il buon funzionamento
dell'economia “ha bisogno di un forte contrappeso di regolazione
pubblica” (pag. 61 e 164). Quando la finanza prospera perchè
scommette su produzione che non c'è, senza controlli e senza regole
“è come mettere in mano alla gente bastoncini di dinamite” (pag.
115). Insomma, la democrazia “va bene con l'economia, come il pane
col salame” (pag. 190).
Mario Dellacqua
FABRIZIO GALIMBERTI, L'economia
spiegata a un figlio
Laterza 2013, p. 195, euro 10
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