sabato 31 gennaio 2015

ECONOMIA SENZA SCORCIATOIE

Se per caso ti sei rotto di non saper parlare di economia con la disinvoltura di quell'amico che ogni tanto incontri dal panettiere, puoi provare a ridurre il divario con “L'economia spiegata a un figlio”.
L'opera di Fabrizio Galimberti, giornalista economico del “Sole-24 Ore”, già docente all'Università di Roma e di Ferrara, risale al 2004, quando la grande intossicazione dei mutui americani non era ancora straripata in Europa, ma conserva intatta la sua straordinaria efficacia didattica. Immaginando di dialogare con i suoi tre figli, Galimberti non ti chiede il prerequisito dello studente secchione, allettato e non intimidito dalla certezza di dover rosicchiare pane duro per i suoi denti.
La familiarità del lessico impiegato, la ricchezza di immagini ricavate dallo scorrere della vita quotidiana e – soprattutto – l'intreccio sapiente e mai saccente tra economia, letteratura, musica, cinema o gastronomia, riducono la distanza tra lettore e una materia ostica e controversa. Bacchelli, Verga, Clint Eastwood, Mark Twain, John Lennon, Sandokan, Oscar Wilde, Steinbeck, il Signore degli Anelli, il Piccolo Principe, la Bibbia, Pupi Avati, Dickens, Sherlock Holmes, Mercedes Sosa, Gabriel Garcia Marquez insieme con tanto Adam Smith, ti possono accompagnare verso la comprensione di azioni, società per azioni, obbligazioni, svalutazioni, cambi, banche, prestiti di ultima istanza...

L'economia studia le strategie dell'efficienza e ricerca i percorsi da seguire per raggiungere il massimo risultato con il minimo sforzo. Ma il perseguimento utopico della giustizia e addirittura dell'ecologia si mettono tra i piedi e ne rivelano l'impossibile autosufficienza. Nel grande contesto della vicenda umana, molto più spesso di quanto non sembri, capita dover constatare anche a babbo morto, che al medesimo problema non c'è una sola soluzione obbligatoria. Molte volte sono molte le altre possibilità. Non sono pochi i casi in cui la ricerca del minimo forzo con il massimo risultato si è tradotta nel minimo risultato con il massimo sforzo. Vittorio Foa e Sesa Tatò parlarono a lungo di “eterogenesi dei fini” e Orso le chiamava “scorciatoie che allungano”. Riprendendo le analisi di Ivan Illich e di Jean-Pierre Dupuy, Zygmunt Bauman parla di “strategia delle lunghe deviazioni” che finisce con l'allontanare gli obiettivi fino a renderne impraticabile il raggiungimento.
I conti freddi e impietosi dell'economia devono fare i conti con gli strattoni e le indebite interferenze della politica, della psicologia, delle morali religiose, dell'antropologia. Non so più chi lo diceva: se vuoi una vita felice, l'economia non ha molto da dire: meglio rivolgersi alla filosofia. Galimberti ha ben presente questa avvertenza, ma non la usa come analgesico e come tranquillante etico. Semplicemente – in prevedibile attesa di successive complicazioni – si impegna a spiegarci in prima battuta che non esistono “pasti gratis”: bisogna avere il coraggio di dire chi li paga, se si ha la lucidità di non imboccare “allungatoie”. Un tappeto può nascondere la voragine, ma devi prima vederla e misurarla, se poi vuoi dire come la si riempie, chi e quando. Se non ci si presenta attrezzati a questo appuntamento, tante bandiere con scritto trasporti, acqua, scuola, sanità pubbliche, ma niente credibile programma di alternativa. Ma questo è un altro paio di maniche (sempre lo stesso).
Insomma, se incroci Galimberti dal panettiere, è elevato il rischio di uscire dall'incontro meno ignorante, più consapevole di come va il mondo, più curioso, non meno determinato nell'impegno politico, più pacificamente incline all'autocritica e alla critica: anche verso lo stesso Galimberti che non se la prenderebbe troppo, educato dai suoi figli a sopportare domande impertinenti.
Ad esempio: Galimberti respinge ogni ipotesi di riduzione dell'orario e di redistribuzione del lavoro perchè rifiuta di pensare che in un paese ci sia una quantità fissa di lavoro da spartire fra lavoratori. Il lavoro viene offerto dalle imprese “se è conveniente produrre fatto un confronto fra costi e ricavi. E i costi saranno minori (..) se il lavoratore è disposto a lavorare più ore” (pag. 187). “Lavorare di più, lavorare meglio, lavorare tutti” contro “lavorare meno per lavorare tutti”. Nicola Cacace e Mario Pianta obietterebbero forse che in Italia abbiamo il maggior numero di disoccupati e una bassa percentuale di occupati in presenza di un numero di ore lavorate pro capite superiore agli altri paesi europei.
Altro esempio: perchè nell'edizione dell'anno scorso, cioè mentre la crisi avviata nel 2007-2008 continuava a prenderci a randellate, ha scritto ancora a pag. 143 che dopo la Grande Depressione del 1929 “l'economia di mercato sopravvisse e oggi possiamo dire che la lezione è stata imparata, e un'altra Grande Depressione non sarebbe possibile. Ci sono gli strumenti per impedirla” eccetera? Gli strumenti ci sono ma, con il ricorso linguisticamente cerchiobottistico all'austerità espansiva, abbiamo sin qui schiacciato la noce per essere ripagati con un verme.
Forse Zygmunt Bauman storcerebbe il naso davanti alla preventiva fede galimbertiana nell'efficacia dell'egoismo riconosciuto come propulsore insostituibile di uno sviluppo armonico dell'economia, che si avvantaggia degli incrementi nella produzione e nei redditi perchè “la marea della crescita solleva tutte le barche” (pag. 190), cioè, come diceva Ronald Reagan, gli yacht, ma anche i pescherecci. E il grido “Arricchitevi!” lo lanciò per primo nel 1848 il banchiere Guizot da Parigi, dove studiò Deng Hsiao Ping che seppe come acclimatare il medesimo slogan nella Pechino degli anni Novanta. “Solo in parte” (pag. 154), Galimberti ritiene correggibile la tendenza dell'economia a crescere portandosi appresso quel fardello variabile di disuguaglianze che costituiscono il cruccio di Bauman.
A dire il vero, Galimberti non milita nelle file dell'esercito che vuole lasciar libera la mano invisibile del mercato. Egli crede nel potere innovatore e nelle virtù calmieratrici della concorrenza: una camicia di forza capace di “incanalare” un istinto primordiale e di inserirlo in un alveo che “lasci libere le mani e la mente per fare cose buone e, allo stesso tempo, impedisca di fare cose cattive” (pag. 52). Sostiene che un'organizzazione razionale della società è il risultato storico di un lungo processo di esperimenti riusciti, falliti, riveduti, corretti, ignorati e applicati nella pratica. E', insomma, un tutto che “è più della somma delle parti” (pag. 56). E' aperta la lotta per ricondurre il capitalismo sotto il controllo pubblico della democrazia, giacchè il buon funzionamento dell'economia “ha bisogno di un forte contrappeso di regolazione pubblica” (pag. 61 e 164). Quando la finanza prospera perchè scommette su produzione che non c'è, senza controlli e senza regole “è come mettere in mano alla gente bastoncini di dinamite” (pag. 115). Insomma, la democrazia “va bene con l'economia, come il pane col salame” (pag. 190).


Mario Dellacqua

FABRIZIO GALIMBERTI, L'economia spiegata a un figlio
Laterza 2013, p. 195, euro 10

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