I credenti dovrebbero chiedersi in che cosa
credono i non credenti, dal momento che anche loro credono in qualcosa. Nessuno
possiede la prova razionale che Dio esista e neppure che non esista. Non c'è
poi quella grande differenza fra il credente e il non credente se entrambi
sanno arrivare e ripartire, sempre muovendosi nella posizione scettica di
ricerca e di apertura verso l'altro. Sono molte le cose che noi non vediamo,
anche se ci sono.
Dunque bisogna saper partire, arrivare e
nuovamente ripartire attraversando il rischio dell'esperimento fallito e della
costante esposizione al ripensamento. La continua interrogazione ti porta a
viaggiare tra Scilla e Cariddi.
Il credente rischia di cadere nella trappola
del monoteismo, il culto di un dio che non è unico, ma è geloso degli dei degli
altri popoli e li vuole annientare rinchiudendo l'umanità nella prigione
esplosiva del fondamentalismo. La vecchia pretesa di imporre con la violenza la
propria verità è sempre affascinante e non so perchè. Il non credente rischia a
sua volta di divinizzare l'uomo e di pensarlo signore dell'universo grazie ai
poteri acquisiti con i miracoli della scienza e della tecnica. Nel
riconoscimento della sua fragilità, sta invece la potenziale grandezza
dell'uomo e questo l'aveva detto Paolo di Tarso quando nella Lettera ai Corinti
scriveva: “la mia potenza si dimostra perfetta nella debolezza”. La
condizione umana ci porta a camminare insidiati quotidianamente dalla doppia
illusione del Messia che non va pigramente atteso e del Prometeo che sfida gli
dei e ruba loro il fuoco da regalare agli uomini, a costo di rimetterci il
fegato.
Quando finisce il libro, Stanislaw Obirek dice
che “rimane dunque l'incertezza, la madre di tutte le decisioni morali”
e Zygmunt Bauman si congeda con un sorridente ma gelido “Amen”.
Assomiglia al Siriano di Voltaire che in “Micromega” si irrita “nel
vedere che gli infinitamente piccoli avevano un orgoglio infinitamente grande” e
regala agli uomini un libro dove “avrebbero trovato la spiegazione di tutto”.
Ma quando lo aprirono, scoprirono che le pagine erano tutte bianche: ancora e
sempre da scrivere. La cautela dello scetticismo non è dunque una copertura
della rassegnazione, ma un'arma pacifica scagliata contro ogni forma di indifferenza
e di pigrizia intellettuale: un energico invito alla ricerca, alla
sperimentazione, alla demolizione dei muri, alla costruzione di ponti.
Mario Dellacqua
ZYGMUNT BAUMAN-STANISLAW OBIREK
Conversazione
su Dio e sull'uomo
La foto è di Claudio Bonifazio. Grazie.
RispondiEliminaQuesto commento è stato eliminato dall'autore.
RispondiElimina