Elidio Dellacqua |
Il documento che si pubblica è
frutto della riflessione dei soliti
quattro scalenghesi iscritti all’Anpi ai
quali si è aggregata Luisa, una nuova giovane voce anpina.
Su indicazione di un testimone
dell’epoca, il nostro concittadino Carlo Manfredi, quest’anno intendiamo
ricordare cinque patrioti sepolti nel cimitero di Pieve con un’unica cerimonia
il 5 maggio del 1945, ed un sesto caduto che riposa a Scalenghe, Giovanni
Bertero, partigiano morto a 22 anni il
19 marzo 1945. Per una lodevole iniziativa di
Carlo si è proceduto al restauro
di due lapidi, rimettendo a nuovo le scritte
ivi incise.
Infatti il tempo trascorso aveva cancellato la vernice che
ricordava il tragico episodio, in cui
due ragazzi di 15 e 16 anni, Mario Sola e Giovanni Serra, persero
la giovinezza e la vita come partigiani a Vigone in località S. Bernardo
presso una chiesetta di campagna il 26
aprile 1945, colpiti dalle armi dei soldati tedeschi in fuga. Con loro cadde un
altro giovane operaio torinese di 22 anni, Emilio Dezzani.
Sentite come il bollettino parrocchiale della Chiesa di
Pieve, nel maggio 1945, tratteggia i
cinque qualificati dal bollettino “Partigiani”: Sola e Serra sono “entrambi giovani di
A.C. con l’arditezza speciale dell’animo loro che li rendeva sprezzanti di
qualunque pericolo, quasi impazienti di portare il loro generoso contributo
alla cacciata definitiva del nemico erano partiti volontari tra le valorose
formazioni Partigiane…nell’impari lotta col nemico ebbero in quello stesso
giorno spezzato il loro moschetto”.
Giacomo Gariglio, “lavoratore buono e pacifico, veniva esso
pure schiantato dalla bufera a La Loggia, dove era sfollato, sul punto di
rientrare in casa, dopo le estenuanti fatiche del giorno. Non valse ad
impietosire i feroci assassini l’essersi prostrato in ginocchio supplicando
grazia per i teneri figli e la diletta consorte”.
Paolo e Tomaso Tortone “perirono
nell’eccidio di Grugliasco, dove la ferocia nazista aveva raggiunto il punto
culminante. Presi dapprima come ostaggi, furono poscia fucilati come dei
volgari assassini, colpevoli di null’altro che di avere amato intensamente la
Patria.”
Ricordiamo per inciso che la strage di
Grugliasco e Collegno è un eccidio compiuto il 30 aprile 1945 dalla 34^ Panzer
Division che contava su circa 12.000 uomini al comando del generale Schlemmer e
aveva lo scopo di contrastare le “bande” partigiane. Durante la ritirata
si macchiò di gravi crimini contro le popolazioni locali. Solo in Piemonte
uccise oltre 300 persone. I morti nella
strage di Grugliasco e Collegno furono 68
(32 abitanti di Collegno, 20 di Grugliasco, 16 originari di altri
paesi). Il giorno successivo, il 1°
maggio 1945, vi fu la ritorsione
partigiana, a Collegno sui prigionieri
di guerra della 2^ divisione granatieri
Littorio, morirono 29 militari.
Qui termina la nostra
cronaca sulla conclusione della seconda
guerra mondiale, e inizia quella che vuole essere una riflessione sulle
responsabilità delle morti, delle stragi, delle gravi limitazioni delle libertà
civili e politiche.
E’ noto che senza l’ausilio dei
libri, non è mai possibile fare il salto necessario per passare dalle ragioni
della nostra singola vita, alle ragioni più generali della storia, di cui noi
facciamo parte.
Per capire qualcosa della Resistenza, per
affrontare la questione del fascismo in
Italia e di come esso cadde, abbiamo
fatto qualche passo nella nostra frazione. Nel vecchio asilo siamo entrati
nella biblioteca, mai
sufficientemente lodata, e abbiamo ricuperato il volume “La Resistenza spiegata a mia figlia” di Alberto Cavaglion, edito nel 2005 purtroppo letto da soli 4 scalenghesi.
Il saggio di Cavaglion trascrive, oltre al resto, un breve racconto
narrato da un famoso romanziere tedesco, Thomas Mann, del 1930.
La vicenda è semplice. Si parla
di un incantesimo e si dimostra quanto sia difficile uscire da un inganno,
“disincantarsi”.
In una località balneare, Forte
dei Marmi, giunge nel 1926 una famiglia di villeggianti che alloggiano in un
elegante albergo vicino al mare. La vacanza è rallegrata da un giovane
cameriere, Mario. I turisti una sera decidono di assistere ad uno spettacolo di illusionismo. Sul
palcoscenico sale il Cavalier Cipolla, un uomo dall’aspetto ripugnante,
illusionista e prestigiatore, di età difficilmente definibile, “con un viso affilato e sciupato, occhi
pungenti,bocca serrata e rugosa, baffetti tinti di nero”. Dopo alcuni esperimenti privi di interesse,
il Cav. Cipolla chiede l’aiuto di uno spettatore, e la sua attenzione cade su
Mario, il cameriere. Con i suoi modi ambigui, alternando dolcezza a brutalità,
riesce a fargli credere di essere una
bella ragazza, sollecitando le sue effusioni. La gente si diverte, ride,
applaude, sbeffeggia l’incantato, esso stesso diventa vittima senza saperlo,
del sortilegio. Quando lo spettacolo finisce e l’illusione ha termine, Mario si
sveglia, ma è letteralmente fuori di sé. Esce di corsa dalla sala. Prima di
allontanarsi si gira ed estrae una pistola. Due detonazioni dal breve fragore
trapassano grida e applausi. Il Cavalier Cipolla cade colpito. Anche il
pubblico si scuote dall’apatia: panico e tumulti, finale catastrofico e
soprattutto liberatore.
Il racconto è ispirato da un
fatto di cronaca nera avvenuto nel 1926.
Che dietro la figura del Cavalier
Cipolla si nasconda la maschera del trionfante duce di Roma è del tutto
evidente. Molte personalità illustri e meno illustri che hanno compiuto il loro viaggio dentro il
fascismo escono con gli stessi occhi e lo sguardo allucinato del pubblico di Forte dei Marmi. Dopo il 1945 sembrerà chiaro che la storia
aveva confermato la previsione della letteratura.
Le dittature non hanno sempre
avuto bisogno della forza: sono state abilissime nell’incantare.
Certo, sarebbe stato bello se
dalla sala del teatro della Versilia o, fuor di metafora, a Roma, Milano,
Venezia, numerosi fossero stati i no pronunciati ad alta voce. Nella realtà
segnali di rifiuto non ve ne furono o si poterono contare sulle dita di una
mano. Per rimanere nel mondo dello spettacolo, solo il Maestro Arturo Toscanini
nel 1931 si ribellò rifiutandosi
pubblicamente di suonare in teatro inni fascisti.
Se fossero stati più numerosi gli uomini con la tempra di Toscanini, non è
detto che il regime avrebbe avuto
maggiori difficoltà a rimanere in vita, ma la corruzione non avrebbe avuto
dimensioni così devastanti e la stessa Resistenza non sarebbe nata nei modi
tardivi e fragili che sappiamo.
In teoria ma anche in pratica,
avrebbe potuto non esservi alcuna forma di Resistenza. L’Italia avrebbe
comunque riconquistato la libertà, ma sarebbe stata peggiore di quella che
abbiamo ereditato.
Le parole che seguono sono
opinioni del tutto personali, di cui mi assumo la responsabilità.
Il nostro è un popolo abbastanza
strano: s’innamora più spesso dei clowns che dei politici impegnati a
mettere il bene comune al di sopra di
ogni interesse personale e di partito.
Abbiamo tanti pregi, ma questo è
un difetto capitale che spiega la fragilità della nostra democrazia e dello
Stato che dovrebbe esserne il titolare e il contenitore.
In Italia abbiamo avuto
l’incantatore da Predappio per 20 anni, poi il venditore di Arcore per altri 20. Esiste l’ipotesi di
20 anni del seduttore fiorentino.
Circola da qualche anno sulla scena politica il comico genovese.
Per restare all’attualità i competitors
sono tre, due dei quali sanzionati penalmente dalla magistratura. Il comico
poi è portatore di un obiettivo anti euro,
che produrrà soltanto rovine e macerie. Il giovane fiorentino punta
tutto sulle riforme e sulla crescita dell’economia reale. Nessuno è contrario alle riforme, ma
raccomandare attenzione e massima prudenza è d’obbligo: Come dice il
Cancelliere Ferrer nei Promessi sposi : adelante Pedro con juicio…
Quanto alla durata dei Presidenti
del Consiglio che imperversano per venti anni, magari piaceranno agli italiani
che in certe cose sono particolari. In realtà stravolgono la democrazia,
occupano tutto, per lo scrivente sono un incubo.
La verità è una sola, ce lo
insegna la dura vita di tutti i giorni:
nulla ci viene regalato. Tutto è da conquistare con un continuo
cimento. Ognuno deve fare al meglio la
sua parte.
W la libertà, no alle guerre.
Il 2015 ricorre il centenario della guerra 15-18. Il
prossimo anno di questo si parlerà. Si
sollecitano pensieri scritti o manifesti
verbali sul tema.
Elidio Dellacqua - Via Santa Maria 8, Scalenghe
Nessun commento:
Posta un commento