Ecco che cosa scriveva il Cisa nella Relazione previsionale e programmatica
per il triennio 2010-2012. Che cosa è cambiato in meglio o in peggio?Come e
chi può intervenire con la necessaria efficacia?
Nell’ultimo biennio si è parlato molto
di “povertà”, non sempre è chiaro però di che cosa e di chi si sta parlando.
Molto si è detto sul rischio di impoverimento di ceti sociali che si riteneva
fossero al riparo da tale eventualità, non altrettanta attenzione è stata però
rivolta alle migliaia di famiglie che già si trovano al di sotto della linea
ufficiale della povertà assoluta e relativa, per le quali è evidente la
difficoltà di arrivare a fine mese e urgente l’intervento di adeguate politiche
di sostegno.
Gli ultimi dati ufficiali diffusi
dall’Istat (ottobre 2006) sull’andamento dei consumi nel 2005 indicano l’11,7%
delle famiglie italiane si trova al di sotto della linea convenzionale di
povertà relativa, che per una famiglia di due persone equivale a una spesa
mensile inferiore a 920 euro, con una oscillazione tra 552 euro per una persona
sola e 2.208 per una famiglia di sette o più componenti; nel complesso sono
risultate a rischio di povertà relativa 2,7 milioni di famiglie, pari a 6,8
milioni di individui.
Al di là di alcune variazioni minimali,
il dato di fondo è che nel nostro Paese l’incidenza della povertà è rimasta
sostanzialmente inalterata dal 1997 al 2005. Le limitate politiche di contrasto
non riescono a invertire stabilmente la rotta, anche se va riconosciuto che i soggetti
in povertà non sono sempre gli stessi: alcuni escono stabilmente dopo esserci
rimasti per un breve periodo, altri vi ricadono dopo esserne usciti, altri
infine (circa il 4% del totale) restano per più anni prigionieri dell’indigenza
che diventa cronica.
Ad essere più colpite dal rischio della
povertà restano le famiglie numerose, con cinque o più
componenti, e le famiglie con tre o più
figli minori (con livelli di povertà pari, rispettivamente, al 23,9% e al
26,1%), a conferma del fatto che la decisione di avere più figli sottopone le
famiglie a maggiori rischi di indigenza a causa di meccanismi redistributivi
che non tengono conto delle risorse pro capite disponibili in ciascun nucleo
familiare.
Le famiglie meno abbienti sperimentano
difficoltà economiche soprattutto per pagare l’affitto, le
bollette, i debiti accumulati; fonte di
ansia è anche l’impossibilità di fare fronte a spese impreviste, al pagamento
delle tasse, all’acquisto di indumenti e beni per la casa. In tale contesto
colpisce il fatto che una parte non piccola delle famiglie dichiari di
incontrare almeno qualche volta in un anno problemi ad acquistare anche il cibo
necessario per vivere.
L’indagine sui consumi delle famiglie
del 2002 aveva identificato quasi quattro famiglie su 100 in
stato di bisogno per spese alimentari,
con un’incidenza del 2,5% nelle regioni del Nord e del 5,6% nelle regioni del
Mezzogiorno. La terza indagine pilota del progetto Eu-Silc, condotta nel 2003,
conferma l’esistenza di questo problema, ma segnala che è avvertito da un minor
numero di famiglie: il 2,3% su base nazionale, senza grandi differenze tra
quelle che abitano nelle regioni del Nord (2,2%), del centro (1,7%) e del
Mezzogiorno (2,9%).
Si tratta di un fenomeno ancora
imponente, che coinvolge oltre 600 mila famiglie e circa 1,8 milioni di
individui di tutte le età, non è però azzardato supporre che i segnali di
miglioramento siano in parte riconducibili a un più sistematico intervento
degli oltre 7.500 enti convenzionati con la Fondazione Banco
alimentare ONLUS che distribuiscono ogni giorno cibo a 1,2 milioni di persone
in stato di necessità.
Per sconfiggere anche la povertà
alimentare sono necessarie azioni coordinate tra tutti gli attori pubblici,
privati e del terzo settore, che di fatto gestiscono le politiche sociali, ma è
anche importante coinvolgere ogni
cittadino in concreti gesti di condivisione, di aiuto e di carità cristiana
come quelli proposti attraverso la giornata nazionale della colletta
alimentare, che si svolge presso i supermercati.
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