Erano presenti
220 lavoratori su 357 interessati.
Hanno votato in 212. I
sì sono stati 195. Contrari
15 e due schede nulle.
Con il referendum
di giovedì 11 ottobre,
la maggioranza dei
dipendenti dell'Indesit
di None ha approvato
l'intesa fra azienda
e sindacati: il 31 dicembre
l'attività produttiva
del sito di None
cesserà definitivamente.
“Intesa equilibrata” dice la Fiom-Cgil. “Accordo sofferto” dice la Uilm. “L’intesa garantisce una soluzione occupazionale per tutti i
lavoratori” sottolinea la
Fim-Cisl .
Accorsi all'uscita
per intervistare i
lavoratori, i microfoni
di TG SKY 24 fanno
una fatica bestia a
trovare interlocutori
disposti a parlare:
bocche cucite, occhiate
ostili, smorfie irridenti
cariche di risentimento,
mani alzate in segno
di resa o di
rifiuto. Le rare
dichiarazioni in libera
uscita non nascondono
l'inesorabile miscela
di rabbia e rassegnazione.
“Nonostante tutto
l'azienda
si è interessata
a trovare
una soluzione”.
E “o accetti
o rifiuti
e ti
trovi in
mezzo a una
strada”.
Un più
ravvicinato punto di
osservazione dell'umore
dei lavoratori è su
FB il sito denominato
“movimento dei
lavoratori Indesit”
che ha scelto un
teschio come suo
simbolo non certo
beneaugurante. E nel linguaggio dei lavoratori le immagini di morte (per impiccagione o fucilazione) si sprecano. “In un caso o nell'altro - dice Federica Paoli - siamo noi che abbiamo il cappio al collo....sono loro che tirano
la corda”. “Alla
fine – scrive
Gennaro Coletti
– ci hanno
messo con
le spalle
al muro
e ci
hanno detto
'scegliete voi
di quale
morte morire'
e intanto
loro si
spartiscono la
torta alla
faccia nostra.
Vorrei tanto
sapere il
loro contentino
a quanto
ammonta. In
ogni caso
tutto in
medicine se
lo devono
mangiare”.
Eppure la
ditta con sede a
Fabriano ce l'aveva
messa tutta. L'accordo del 7 luglio 2009
prometteva di tenere aperto lo stabilimento di None e aveva vigorosamente
confermato la “missione produttiva” di Brembate di Sopra e di
Refrontolo. Ma poi a dicembre 2010 i due siti nel bergamasco e nel trevigiano
erano stati chiusi, non senza solenni programmi di riqualificazione
professionale dei lavoratori e di rilancio produttivo. La volta di None è venuta ad aprile, quando
veniva annunciato il trasferimento di tutta la produzione di lavastoviglie a Radomsko in Polonia. “Dove i salari – scriveva un comunicato del circolo rifondarolo nonese - sono più bassi. Dove le agevolazioni statali del governo polacco e i contributi comunitari sono più vantaggiosi”.
Con le spalle al muro si trova anche Dario Basso della Uilm che spiega davanti ai cancelli: “Il
problema
è
il
costo
del
lavoro
pro
capite.
A
None
è
di
22 euro
per
ogni
lavoratore,
mentre
a
Radomsko
è
di
5” .
L'azienda
compie
il
delitto
e
riesce
nel
capolavoro
di
presentarsi
innocente.
In Europa persiste un andamento negativo del mercato e l'incrudelimento della
competizione, “con l'ingresso, in misura non marginale, di nuovi attori che
realizzano il loro prodotto in paesi a minor costo” ha determinato un “significativo
calo del prezzo medio di mercato”. Di lì a dire che non è più possibile la
permanenza a None della produzione di “lavastoviglie ad incasso 60 cm . per i mercati a più
elevata redditività” di Italia, Spagna, Francia, Portogallo, Olanda,
Lussemburgo, Belgio e UK, il passo è breve.
E suona poco convincente la conferma della “centralità dell'Italia”
per il gruppo Indesit che assicura “la rilevanza strategica” degli
stabilimenti di Caserta, Fabriano e Comunanza. Solo la “profittabilità”
di None è “in rapido e continuo peggioramento”. Per “rendere più
competitive le lavastoviglie” polacche, i nonesi devono avere il buon gusto
di farsi da parte e gli altri devono fare il favore di credere che il
carciofo non perderà altre foglie.
I progetti di
riqualificazione produttiva e di riorganizzazione dell'area nonese, sinora
senza risultati nonostante il fiancheggiamento dal 13 luglio 2010 di 24 mesi di
CIGS, vengono però riproposti. Il ricollocamento dei 357 lavoratori e la “reindustrializzazione
del sito” è affidato ai progetti di un Comitato composto da azienda,
sindacati, Provincia e Comune di None. Mentre il Centro Innovazione impiegherà
53 soggetti, il “Polo logistico e di assistenza tecnica” movimenterà 800.000 prodotti
l'anno servendo l'Italia e i principali Paesi dell'Europa occidentale, con 41
dipendenti in pianta stabile ma anche, a discrezione delle parti, con altri
lavoratori part time inseribili in specifici percorsi formativi. Sul fronte delle soluzioni interne al Gruppo, sarà
mantenuto a None l'Outlet con l'impiego di 3 lavoratori, mentre per altri 5 è
previsto il ricollocamento presso altre sedi.
Le eccedenze verranno
“gestite” con “ricorso alla mobilità” del dipendente che avrà
maturato “il trattamento pensionistico anticipato o di vecchiaia nel periodo
di utilizzo degli ammortizzatori sociali” e con incentivazioni all'esodo
(da un minimo di 10mila euro ad un massimo di 18mila euro) del dipendente che
non si opporrà alla risoluzione del rapporto di lavoro o accetterà una
ricollocazione part time. Sarà possibile prevedere pure un ricollocamento
all'interno del gruppo Indesit in altre realtà produttive e organizzative
dell'azienda.
Altri lavoratori
verranno assunti a tempo indeterminato in aziende terze con più di 20
dipendenti e ubicate “in zone quanto più limitrofe all'azienda e/o al Comune
di residenza” che garantiranno “equivalenza di profilo professionale”
e “retribuzione analoga”. A queste aziende, l'Indesit potrà versare fino
a 18mila euro di incentivo oltre alle agevolazioni
previste dalla legge. La precedenza verrà accordata alle categorie
protette, ai lavoratori monoreddito e/o ai lavoratori con coniuge in azienda.
Gianluca
Ficco, coordinatore nazionale del settore elettrodomestici per la Uilm dichiara che “sono
gia' pervenute da parte di aziende terze 79 manifestazioni di interesse ad
assumere a tempo indeterminato lavoratori attualmente dipendenti di Indesit;
infine sono in corso trattative con tre soggetti interessati a
reindustrializzare il sito, che potenzialmente potrebbero riassorbire massimo
215 lavoratori”.
In effetti, questa
parte è la più innovativa dell'accordo, ma non debella la diffidenza dei
lavoratori che temono il proliferare di “finte aziende fantasma che non
ricollocano nessuno e i sindacati si prostreranno accettando quattro monete e
400 persone disoccupate”. Su FB Federica Paoli si chiede “quando ci
diranno quali sono queste favolose aziende che assumono in questo periodo di
crisi”. “Mai – risponde Erica Castagno – perchè non esistono o se
esistono cercheranno gente specializzata”. Milena Fanutza invita a non
perdere la speranza, “arriveranno momenti migliori”. Per ora sono tempi
di amari bilanci: “24 anni fa – osserva Dino Zecca - era meglio se te ne stavi tu a montare ascensori ed io a fare basi di scavatori in cip”.
A Romeo Marco Barboni
“la pelle piace venderla cara e possibilmente non regalarla”, anche se “mantenere
un giusto presidio fuori dai cancelli sembra un'impresa ardua ove noi tutti
abbiamo peccato”. E Anna Farm Di Canito rivolge i suoi “complimenti per
la lotta a tutti...pensa se non avessimo fatto tutto quello che abbiamo fatto,
cosa ci avrebbero proposto: tarallucci e vino”. Assieme agli accenti
autocritici per la non sempre corale conduzione della lotta (ma ciò era
evitabile?), affiorano sensi di colpa per la violazione dell'etica del lavoro
cui ci si sente vincolati e per l'isolamento sociale che può investire chi,
anche solo per qualche mese, può essere accusato di essere pagato per non
lavorare. “Ma sì, dai – dice Milena - qualcuno qualche anno a scrocco ancora lo fa tutto sommato”.
“A scrocco di chi? Con un'ItaGlia così – dice Claudio Masoero - meglio l'Angola”. Anche se avesse 24 mesi di cassa integrazione, Vincenzo Frangiamore si dovrebbe accontentare della miseria, pensa di non prendere più di 700 euro al mese, e per “dopo” si chiede: “A chi concedo la manodopera che sono vecchio per lavorare e giovane per la pensione?!?”
Claudio Masoero ce
l'ha con “dipendenti statali fancazzisti, politici corrotti e mafia”. Consiglia
di non “dare aiuti a 'sti buffoni di sindacalisti. L'Indesit doveva stare a
None e produrre a None. Punto. Nessuna trattativa con questa azienda
voltagabbana che parla e promette a vanvera. Buffoni”. Antonella Brescia
gli chiede: “ma perchè non fai tu il politico o il sindacalista visto che
sei così bravo a parlare e a trovare soluzioni o insulti per tutti”. L'idea
di sbattere i pugni sul tavolo, di mostrare gli attributi e di evitare ogni
trattativa con i suoi compromessi probabilmente non avrebbe incontrato
l'opposizione dell'azienda. Con l'intesa, Viviana Crisolfi è più possibilista: “Meglio
così che un calcio nei c... giusto?” Prima di demolire l'accordo, Sabina
Menudo preferisce vedere quello che capita perchè “non ci sono alternative”.
Dino Zecca riflette a modo suo sull'impossibilità di ordinare alle industrie di
assoggettarsi alla vincolante sovranità della democrazia, fosse pure quella
espressa dall'assemblea o dal referendum dei lavoratori. “Che cosa
succederebbe se si ritrovassero 360 voti contro? Si ritornerebbe indietro? Non
credo”.
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