E’ di questi giorni la notizia della notevole riduzione, da parte della magistratura vaticana, dell’entità della pena inflitta al maggiordomo del papa (dagli iniziali 3 anni a 18 mesi) per il furto di documenti personali di Joseph Ratzinger.
Si può discutere sulla effettiva equità di una tale sentenza ma è innegabile che essa si colloca sullo sfondo di una brutta storia di palazzo di quella porzione di Roma che sta oltre il Tevere.
Per quanto il furto risulti essere un atto difficilmente difendibile, viene da chiedersi quali documenti sensibili e segreti possano essere in possesso del “successore" di Pietro e cioè del primo tra quegli apostoli da cui il Signore Gesù Cristo aveva preteso un parlare che fosse “sì sì, no no”.
Ma quello che più dovrebbe scandalizzare in questa vicenda (e parlo dei vicini e non dei lontani, mi riferisco a chi della chiesa cattolica vuole far parte e non a coloro che da fuori la avversano) è il fatto stesso che chi osa definirsi il “vicario di Cristo” abbia un maggiordomo al suo servizio.
Che non dico tra l’Evangelo e il Vaticano ma anche solo tra quest’ultimo e la sobrietà passa il mare di un potere e di una ricchezza che dovrebbero apparire inaccettabili (soprattutto) ad occhi cristiani.
Per usare le parole di Piero Stefani: “L’aspetto più improbo da comprendere è come la struttura costantiniana della Chiesa non abbia impedito che fino ad oggi risuonasse, anche attraverso essa, la voce del Vangelo. Arduo è capire come la logica del potere non abbia messo un definitivo bavaglio a parole che proclamano la beatitudine degli ultimi” (“Fede nella Chiesa?”, Morcelliana 2012).
Roberto Cerchio
In none di sua Santità il Papa benedetto gloriosamente regnante. Mi ha colpito questo formulario con cui è stata letta la sentenza. D'altra parte, il Vaticano è uno stato teocratico. MARIO
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