Santa
Sofia d'Epiro. Calpesta senza fretta l'acciottolato nel dedalo
sonnecchiante dei vicoli di questo villaggio arberesh
(italoalbanese) in provincia di Cosenza. Poi prova a guardare da
lontano la capricciosa geometria dei suoi tetti: un caleidoscopio a
colori stinti e vivaci di triangoli ubriachi, trapezi spanciati,
parallelepipedi arrotondati e cilindri appuntiti contende lo spazio
di austeri portali a guardia di vicinati ora troppo silenti. Quando
si stava meglio perchè si stava peggio, le antiche ghitonie
pullulavano non solo di gatti. Nelle placide sere d'estate prosperava
un affabile cicaleccio di cortile e le donne più umili vestivano
costumi talvolta sgargianti, sempre ben curati da un desiderio
interiore di nobiltà.
Non so afferrare quel tempo perduto con la nostalgia, ma
solo con l'immaginazione. Ora il paesaggio urbano è dominato
dall'incompiuto, dall'appena cominciato, dal partito, dal lasciato a
metà, dal mai più visto. Strapiombi di olivi e palme negli orti di
ville erette ad imitazione delle residenze marine (o californiane?)
raccontano la tradizione abbandonata quasi con vergogna per approdare
all'emancipazione. Rappresentano un traguardo di benessere inseguito
e ostentato, pur tra le pieghe e le piaghe di uno sviluppo
regolarmente rimandato.
Qualche
segno lo so interpretare. Lungo la strada principale, l'insegna
dell'Interclub
esibisce con orgoglio la sua storica data di nascita: 2010. Più in
là non manca, boriosa, la concorrenza juventina. Nessuno ha finora
affrontato, invece, la dignitosa sofferenza di rimuovere (non dico
sostituire) la targa all'ingresso della sezione “Aldo
Moro” del
fu Partito popolare. Prima delle chitarre, sono i muri a parlare. Un
lancinante incrocio fra arcaismo e modernità sprigiona nell'aria una
musica muta, ferita e desolante di vecchie sintonie spezzate
nell'inedia o melanconicamente archiviate.
Resistere
all'aggressione con la lingua, le fotografie, la gastronomia, la
musica e la fedeltà alle liturgie è un consapevole segno di
dignità. Proteggere i patrimoni della tradizione è una ribellione
dell'identità minacciata. A Santa Sofia, Peppa
Marriti Band
ci prova con la musica e ora anche con un libro presentato il 2
gennaio. Con una peculiarità trascinante: in vent'anni di concerti,
l'alto turn over
nella band non
ha lasciato il consueto strascico di rivalità e dissapori, perchè
il suo retroterra è costituito da una singolare koinè
di musicisti in continuo amichevole fermento. Mai troppo
sguinzagliati alla ricerca di visibilità e anzi in pacifica
coesistenza col reggae
dei cugini Spasulati.
Ma
la coltivazione anche devota della tradizione
non può evitare l'appuntamento con il dovere della traduzione
che - lo scopri ben presto - non si esaurisce nel trasferimento, da
una generazione all'altra, di proprietà congelate e gelosamente
custodite. Fatalmente si affaccia il pericolo del tradimento.
Non ci sono
grammatiche da rispettare, totem famigliari da venerare, barriere
religiose che reggano, perchè come spiega benissimo Demetrio Corino,
lingua e musica sono creature vive. Dunque sono soggetto e oggetto di
quotidiane miscelazioni. Sono esposte al rischio del deterioramento
che snatura, della deviazione che impoverisce o sfigura.
Ora,
il bello della Peppa
è la loro deliberata scelta di accettare la sfida, proprio mentre
apertamente denunciano il pericolo che la loro lingua passi dalla
sofferenza all'agonia. “Invece
di spaventarsi, si appassionano ancora
di più”.
Demetrio Corino e i suoi amici non hanno
“paura del cambiamento”,
ma al tempo stesso, mostrano di “avere
coscienza”
e sono “rispettosi delle proprie
tradizioni”. Più
in concreto, si spingono ad affermare che “non
esistono, in nessun luogo, culture minori, ma soltanto sapienze
diverse che ci arricchiscono di nozioni e di dettagli importanti”.
Ecco spiegata la magistrale scelta di mettere in copertina una
chitarra tra le braccia di un musicista che indossa il chiodo
rocchettaro su un tipico costume femminile albanese. Ecco spiegato,
finanche nel nome, l'omaggio consapevole all'anglofilia imperante,
prontamente bilanciata dal suo impasto con le sonorità della parlata
locale, i suoi racconti, i suoi personaggi.
A
potente soccorso della “Peppa”
viene l'esperienza secolare dell'emigrazione che per questo popolo in
periferia è l'alimento della dignità e della “voglia
di riscatto” fusa
con quel “moderno adeguamento di un
principio
antico”
che è il lavoro, “principale
fondamento di onorabilità e di rispetto verso se stessi e gli
altri”. Consolatrice,
educatrice, balsamica, romantica, ribelle, con le radici tra i
reietti e non tra gli eletti, la musica eclettica della Peppa
Marriti Band è
anche una bussola. Può accompagnare la sgangherata carovana
dell'umanità contemporanea nel deserto provinciale degli odi
razziali a sfidare le ottusità acide e rinunciatarie in ascesa:
l'altra faccia di planetarie ingiustizie sociali sostenute da quelli
che Franco Arminio chiama i militanti dello scoraggiamento con il
grembiule del rancore addosso.
“L'armonia
che vince di mille secoli il silenzio”
non si trova aggrappandosi con ostinazione eroica a pezzi di modelli
gloriosi in caduta libera, ma nel cimento del meticciato musicale,
religioso e politico, nella fiducia per gli incroci, nell'apertura
alla fecondità delle contaminazioni. E' chi le teme a tradire la
fragilità delle sue radici e la timidezza della sua identità. E'
chi si rinchiude nel suo fortilizio assediato a preparare la disfatta
indecorosa. Il futuro è una continuità fatta di rotture. E' nelle
mescolanze inesplorate, nei ponti e non nei muri e... nostra
patria è il mondo intero.
Sarebbe
vile sottrarsi al tormento creativo che ci chiama.
In
conclusione, se non sembra troppo blasfemo e provocatorio, ai
musicisti della Peppa Marriti Band
possiamo
dare il benvenuto fra i bastardi. E auguri a tutti quelli che, come
me, sono fieri di esserlo.
Auguri per il nostro viaggio senza meta prestabilita.
Per
affrontarlo, dovremmo assomigliare a Genuzzu,
il padre di Angelo Conte l'enigmatico, che partì un po' prima da
Santa Sofia inforcando una bici con la zappa in spalla. Nessuno se lo
aspettava, ma lui pedalò con volontà di ferro e seppe arrivare a
Camigliatello prima della corriera che gli altri avevano preferito.
Mario
Dellacqua
DEMETRIO
CORINO, Rockarberesh. Peppa Marriti
Band tra arcaismo e modernità,
Pendragon, Bologna 2013, euro 12.
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