Oltre
agli interventi di Roberto Cerchio, Ferruccio Lozito, Fabrizio Piscitello,
Nunzio Sorrentino e Teresa Vigliotta, mi ha colpito l'interrogativo posto da
Armando Nicola con la sua consueta micidiale innocenza. Le democrazie si stanno
disfacendo sotto i nostri occhi sommerse dalla corruzione, dalla prolungata
crisi economica e dall'instabilità: la paura – come dimostrano i fatti egiziani
con l'esito del referendum – non può effettivamente rendere credibile l'avvento
di una dittatura che almeno ha dalla sua la capacità di dare ordine e di
prendere decisioni?
Ci
sono molte risposte possibili e, prima di tutto, non bisogna stracciarsi le
vesti di fronte all'interrogativo blasfemo. Io do la mia. Tra la paura per
l'incancrenirsi della crisi delle democrazie occidentali e la paura della
dittatura, io preferisco di gran lunga affrontare la crisi delle democrazie.
Preferisco il cattivo funzionamento di una democrazia al buon funzionamento
imprenditoriale di una ditta dittatoriale.
D'altra
parte, mi sono convinto che la democrazia non è un regime abitato solo da
uomini buoni. Mi sono lasciato
convincere da Josè Saramago, il quale una volta ha spiegato in un'intervista
che l'errore dal quale deriva l'insediarsi dei regimi autoritari e totalitari,
si commette tutte le volte che si scambia la democrazia come un punto di
arrivo. Invece la democrazia è un continuo punto di partenza. Non ci sono
conquiste incamerate una volta per tutte. Esse vanno sviluppate, difese,
aggiornate, corrette, continuamente adeguate al mutare dei tempi, delle genti e
delle economie.
Come?
Il propellente che fa andare avanti il motore della democrazia è il controllo
popolare, la cittadinanza consapevole, la lealtà di una lotta politica aperta
fra programmi civilmente contrapposti. Fra tranquillità e libertà a volte
bisogna scegliere, come tra pigrizia e rischio. Teniamoci il dubbio e
adoperiamolo come alimentatore del pensiero e dell'azione. Santa Teresa di
Lisieux diceva: “Tra la certezza e il dubbio, un soffio. La vita si trova
tutta in questo soffio che passa”. E, come dice Calvino che Roberto Cerchio
ha trovato nel saggio di Cavaglion, “basta un nulla, un passo falso, un
impennamento dell'anima e ci si trova dall'altra parte”.
Mario Dellacqua
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