Sulle
colonne dell'ultimo numero del “Mondo
di None”,
Mario Ruggieri propone un tema impegnativo all'attenzione di una
comunità locale sempre un po' distratta e allegramente impreparata.
Immaginando invece fiduciosamente di avere a che fare con una “agorà”
popolata di cittadini consapevoli e di attivisti attivi e critici,
Ruggieri si è letto le novecento e fischia pagine dell'opera che ha
portato al giovane studioso francese, insieme con i primi posti nella
classifica delle vendite, anche il plauso di due Premi Nobel
dell'Economia come Paul Krugman e Joseph Stiglitz. Nella sua crudele
stima per la mia persona, Ruggieri mi ha prestato il volume, di cui
ho fatto una lettura selettiva e corsara. Dunque ne scrivo con
l'esclusivo ma umile intento di disturbare, incuriosire o provocare.
La tesi di Piketty è una pietra d'inciampo per il
dominante pensiero neoliberista: se si vuol combattere la crisi,
l'arma da impugnare non è la maggior libertà per le imprese di
licenziare o la combinazione di tagli alle spese e alle tasse che si
risolve regolarmente in una depressione sempre più grave dei
consumi, della produzione e dei posti di lavoro.
Piketty
suggerisce invece di aggredire le disuguaglianze mediante una
sistematica politica fiscale di progressività delle imposte (“chi
più ha più paga”,
non “a
chi più ha, più sarà dato”
come dice il Vangelo di Matteo) da condurre addirittura su scala
planetaria per impedire la pirateria dei paradisi fiscali e per
rastrellare le risorse necessarie a redistribuire il lavoro
disponibile. Sembra una chimera, ma Piketty indica le misure da
adottare su una strada percorribile con efficacia a partire
dall'Europa. La sua imposta riguarderebbe il 2,5 per cento della
popolazione europea e frutterebbe ogni anno l'equivalente del 2 per
cento del PIL europeo.
Il
capitalismo da solo non si sogna di fare nulla in tale direzione,
perchè impegnato nella sua folle corsa non ad autoregolarsi, ma a
produrre ciecamente sempre di più e a costi sempre più bassi, a
costo di impoverire chi dovrebbe comprare le merci circolanti in
sovrappiù a causa di una produttività cresciuta più dei salari.
Siamo oggi in una situazione in cui “il
tasso di rendimento del capitale
– così la dice Piketty – supera
regolarmente il tasso di crescita del prodotto e del reddito”:
quando ciò accade, “il
capitalismo produce automaticamente disuguaglianze insostenibili e
arbitrarie”
che rischiano di compromettere le civiltà democratiche. Il 2,5 per
cento più ricco detiene quasi il 40 per cento del patrimonio totale,
ossia il 200 per cento del PIL europeo, si legge a pagina 838.
Della
questione non siamo del tutto digiuni sulle rive del Chisola. Ne
abbiamo discusso il 14 marzo all'angolo di via Roma 11 con il
senatore democratico Marino e con Nadia Biscola quando abbiamo
presentato il controverso libro di Innocenzo Cipolletta sulla
pressione fiscale italiana. Ne abbiamo parlato il 1 aprile
presentando il comitato di sostegno alla lista “Un'altra
Europa per Tsipras”.
Sempre grazie alla regia di Mario Ruggieri. Mi auguro di poter
collaborare ad un incontro di uguale ispirazione per discutere a più
voci le tesi di Piketty.
THOMAS
PIKETTY, Il
capitale nel XXI secolo,
Bompiani, 2014, p. 946.
Mario Dellacqua
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