Un anniversario come pretesto.
Prendiamo il 1989. Dei pluricelebrati eventi innescati come tante
detonazioni a catena da quel novembre di 25 anni fa, abbiamo digerito
tutto: il crollo del muro di Berlino, la fine dell'Unione Sovietica,
il trionfo su scala planetaria dei grandi poteri della finanza e
dell'industria multinazionale. Nei “trenta anni gloriosi”
compresi fra il 1945 e il 1975, quei poteri erano stati costretti a
stabilire un compromesso dinamico con i poteri del movimento operaio.
Ma oggi il capitalismo neoliberista (o il finanzcapitalismo come lo
ha chiamato il prof. Gallino in un libro del 2011) si può riprendere
tutto lo spazio che aveva ceduto. I poteri delle classi lavoratrici,
invece, arretrano e si indeboliscono, la loro unità si frantuma.
Molti non hanno ancora digerito la fine
del Pci e da 25 anni oscillano tra rancore, stupore, rassegnazione,
silenzio e impotenza. Sul numero 1076 di “Internazionale”, il
direttore Giovanni De Mauro ha scritto che “con la fine del Pci
scomparve un luogo importante a cui appartenere. Ma non vennero meno
le ragioni della sua esistenza, né i diritti da difendere o le
classi sociali per cui parteggiare”. A distanza di anni, tante
persone hanno ingoiato (subito? deriso? accettato? esaltato?)
l'eclisse della loro partecipazione alla vita democratica. Un
divorzio senza scandali. Un esodo biblico senza clangori. Molto
deserto e niente manna dal cielo.
Alla sezione scomparsa si è sostituito
il comitato elettorale che si riunisce febbrilmente alla vigilia
della crocetta sul simbolo e poi sparisce. Il leader ha svuotato il
partito e se ne è impossessato. Al volantino discusso, scritto,
titolato e diffuso in squadra si è preferita la droga miserabile del
“mi piace” e del “condivido”. Il gossip televisivo ha tolto
posto e tempo alla lettura del giornale e del libro. Il sindacato che
contratta e cerca con le controparti pubbliche e private intese
sempre migliorabili è stato soppiantato dal sindacato che assiste
individualmente e proclama scioperi dimostrativi dopo aver rilasciato
dichiarazioni bellicose sull'uscio di Palazzo Chigi. Al posto
dell'impegno per conquistare sapere e saper fare è arrivato il tifo
per il leader giudicato sulla simpatia dell'eloquio e del vestito,
non sulla persuasività di programmi e principi: lo puoi pertanto
usare e gettare al primo suo colpo sbagliato sul mercato elettorale.
Non ho dubbi che bisogna risalire la
corrente in direzione ostinata e contraria, se si vuol evitare che
senza partiti questa democrazia rimanga anche senza elettori. Deve
tornare la sinistra, la sezione, il partito, il movimento sindacale
unitario. Con un'innovazione decisiva che mi piacerebbe discutere e
approfondire: non più il partito che lotta contro tutti gli altri
per l'egemonia, per il voto e per arruolare una schiera di
fedelissimi aspiranti al ruolo di assessore, sindaco o parlamentare,
ma una rete di collettivi liberamente pensanti e operanti nel luoghi
della vita quotidiana per impegnarsi a sperimentarne il concreto
miglioramento usando le armi di relazioni plurali e solidali.
Le parole degli altri sono riforma,
flessibilità, austerità, competizione, mercato, crescita, pareggio
del bilancio. E' arrivato il momento di ritrovare l'orgoglio delle
nostre parole: uguaglianza, dignità del lavoro, beni comuni,
legalità, pluralismo, istruzione, salute, solidarietà, qualità
della vita, cibo sano, eleganza dell'anima e non volgarità della
parola, convivialità, bellezza dell'arte, della musica, dei paesaggi
e dei viaggi che riempiono le valigie e contaminano il pensiero. La
rivoluzione che vogliamo non è opera di minoranze eroiche che
diventano fanatiche e dittatoriali, ma di comunità libere in
continuo movimento del pensiero e dell'azione, affratellate dal
piacere di condividere il comune impegno a partecipare attivamente e
criticamente alle vicende del mondo. In questa lunga marcia di
autoeducazione collettiva, il nostro obiettivo è mutare le cose
rispettando le persone, come diceva Vincenzo Padula, un grande prete
dell'Ottocento calabrese.
Certo che abbiamo un piccolo problema:
quello di raggiungere ogni singola persona e conquistarla all'idea
che solo insieme ad altre può migliorare le proprie condizioni di
vita, ridurre le disuguaglianze, combattere le solitudini, non cedere
al fascino della violenza, resistere all'ignoranza e vivere più
allegri.
Mario Dellacqua
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