In viaggio verso Cuba,
Benedetto XVI ha detto che “l'ideologia
marxista come era concepita non corrisponde più alla realtà e così non può costituire
una società: devono trovarsi nuovi modelli con pazienza e in modo costruttivo”.
Quanto ai nuovi modelli, alla pazienza e alla costruttività delle
strategie, sono d'accordo con il Papa. Però obietto che fin dagli anni lontani
della Prima Internazionale, il marxismo non è mai stato un corpo dottrinario
dato, ma una continua ebollizione in ogni angolo del pianeta di revisionismi in
conflitto tra anarchici, riformisti, sindacalisti rivoluzionari, leninisti,
sempre più grottescamente a gara nel disputarsi il ruolo di unici depositari
dell'ortodossia. Meglio sarebbe, dunque, parlare di marxismi, anche laddove si
volesse demolirli tutti in un colpo solo. Certo, non basta dileggiare la
gerontocrazia di Cuba, come fa Giorgio Ferrari su “Avvenire” del 24 marzo. Curioso poi che lo faccia un supporter di
Ratzinger con i suoi 85 anni suonati: in ogni caso, dovremmo aver imparato che
il discrimine fondamentale non è tra i vecchi da archiviare e “largo ai
giovani” (e in effetti il maestro di Predappio li mandò al largo e avanti verso
la steppa con biglietto di ritorno riservato a pochi).
E poi chiedo: se il
marxismo è oggi superato, in quale momento appariva convincente la sua
corrispondenza con la realtà oggi smarrita e anzi definitivamente perduta?
Ferrari denuncia che a Cuba oggi sono giganteschi i problemi della sua economia
corrotta, della sua democrazia inesistente. A Cuba “si vive peggio di un tempo” e “gli
ospedali non sono più un'eccellenza”: vorrei sapere perché la condanna
della Chiesa era altrettanto ferma quando si viveva meglio e gli ospedali erano
un modello anche per i ministri europei. Il confronto con la sanità negli altri
paesi dell'America Latina era improponibile, benché in quei paesi le dittature
assicurassero ampia libertà religiosa ai cattolici e a gran parte delle loro
gerontocratiche gerarchie.
Non bisogna vedere le luci
solo quando si sono spente. E quanto alle ombre, dovremmo fare una capatina in
Bolivia dove i ragazzi lavorano in miniera per un euro al giorno all'estrazione
di oro, argento e stagno (vedi “La
Stampa” del 26 marzo). Lì potrebbe andare Piero Ottone a misurare le
magnifiche sorti e progressive delle leggi “naturali” della domanda e
dell'offerta, lui che come Angelino Alfano ci vuole liberare dal freno della
Fiom che ricatta il Parlamento attraverso la Cgil e il Pd.
Sentivamo il bisogno di
menti libere che ci emancipassero dai principi artificiali di una Repubblica
fondata sul lavoro, su un posto sicuro e una paga equa, anzi addirittura sulla
casa per la famiglia, la scuola per i figli, la salute e la pensione per la
vecchiaia. Che cosa sono queste frivolezze novecentesche? Avanti coi carri.
Mario Dellacqua
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