Se il caso ti porta a incontrare “Le ali della libertà” che hanno fatto volare a Gerusalemme gli
esercizi spirituali di Carlo Maria Martini, sono curioso di sapere come ne
esci.
Io bene, se ti interessa saperlo, ma non perchè
consolato, convertito o rinfrancato con l'avvenuto rammendo di affezionate
convinzioni logorate dai dispetti dell'evidenza.
Anche il cardinale dice che bisogna “resistere, resistere, resistere” tra “nubi, lampi, venti e grandine” dei
nostri tempi. Anche il Cardinale ha i suoi militanti da proteggere dallo
scoraggiamento e da sgridare perchè si lamentano sempre di essere in pochi, di
avere pochi giovani, di vedere sempre le stesse facce, di essere inefficaci. E
li sgrida perchè invece dovrebbero ringraziare il Signore “per il solo fatto di vivere in un contesto così pagano”. Al mondo
c'è più male o più bene?
Martini non sprofonda nel dilemma, perchè solo Dio sa
come va il mondo, ma non consiglia neppure di tirare a campare. Anzi, vede bene
e denuncia i limiti della Chiesa cattolica. Quelli che travestono i loro
risentimenti e i loro rancori di nobili motivazioni mostrando “in tutto il loro essere di non avere pace
dentro di sè”. Quelli che “si rodono
per anni e sprofondano in assurde depressioni”. Quelli che non sono allegri
e non possono pretendere di spronare gli altri all'impegno. Quelli che sono
bravi a stabilire dei limiti ma poco coraggiosi “nell'offrire una mano a chi è fuori dai confini”. Insomma, nelle “caverne del nostro intimo” dormono “come leoni ruggenti” i più sordidi
istinti aggressivi pronti a saltar fuori in ogni momento se non si conquista “la padronanza di sè”. Meglio riposarsi
ogni tanto e non aver paura né vergogna delle proprie debolezze e fragilità:
questo è il messaggio che può rinvigorire l'impegno di chiunque, credente o non
credente, sia deciso a non mollare e a rifiutare di isolarsi in una sdegnosa
torre d'avorio.
Questo libro dedicato allo strano valore della
preghiera sarebbe la conferma che il cardinale sa parlare ai non credenti. Ma è
il minimo. Molti preti, non sapendo parlare ai non credenti, non sanno parlare
con nessuno. La stessa cosa capita ai medici che frequentano solo simposi,
filosofi che pubblicano un titolo dopo l'altro per parlare tra di loro,
letterati che vivono nelle biblioteche, insegnanti che ridono quando parlano
con i contadini o con gli ambulanti. La parola rende uguali se usata per
comunicare con i diversi, non per dividerli dagli altri e per coltivare
reciproche identità in eterna competizione. L'idea di istituire il “cortile dei gentili” (uno spazio per il
confronto fra credenti e non credenti) affidata al cardinale Ravasi (una tra le
menti più poliedriche e brillanti del cattolicesimo europeo) è presentata come
originale, coraggiosa e innovativa solo perchè da tempo immemorabile manca
l'apertura che dovrebbe essere il prerequisito di ogni avvicinamento. E se
manca il prerequisito, hai la misura del “basso
stato e frale” in cui versa la conclamata urgenza del dialogo. Comunque,
meglio di niente. Beati monoculi in terra
caecorum. Certo, se con Paolo di
Tarso, Martini vuole che “senza Gesù
Cristo l'umanità va verso la rovina”, il dialogo non può fare tanta strada:
avendone già prestabilito gli esiti, il risultato sarà la convalida delle
reciproche cecità.
Il merito di questi esercizi a Gerusalemme dell'ex
presule milanese non sta nella sua capacità di catturare al dialogo i non
credenti, ma nell'invito energico e fremente a usare “il dono della santa libertà” rivolto all'interno della Chiesa.
Meglio tardi che mai. “L'anima di ogni
creatura umana è chiamata alla libertà” e facendovi ricorso “qualche volta si è vincenti, ma per lo più
si è perdenti”.
Invece, “l'orgoglio
e la smania di riconoscimento sono spesso presenti in gruppi che, portando
gente a ingrossare le file dei fedeli, ritengono di contare di più e di avere
più potere”. Invece di dire la verità, si preferisce così dire ciò che
piace al superiore per non compromettere la propria promozione al cardinalato.
E “il conformismo a scapito della verità”
è una malattia che ha colpito la Chiesa come tutte le altre organizzazioni
della civiltà democratica. Come se ne possa uscire senza una profonda
rivoluzione etica, sociale e politica non saprei dire. Sed fieri sentio et excrucior. Come ne possa uscire la Chiesa
preservando le sue gerarchie, invece di sottoporle al vento rinnovatore di una
salutare stagione democratica è un altro mistero ancora più grande che dovrebbe
scongelare i credenti. Ma sono sin troppo tranquilli. Sacerdozio femminile,
ordinazione degli sposati, matrimonio degli ordinati, contraccezione,
democrazia elettiva dei pastori: dove diavolo se ne parla? Appunto, non se ne
parla, perché così si tiene lontano il diavolo del pluralismo.
Martini forse vorrebbe i cattolici meno defilati, meno
propensi a interpretare il comandamento dell'umiltà come un invito a subire,
tacere, ubbidire. Non bisogna “pretendere
di voler essere chissà che e neanche pensare o voler essere l'ultima ruota del
carro”. Meglio, direbbe Dante, se “tutta
tua vision fa manifesta e lascia pur grattar dov'è la rogna”. Meglio, dice
Martini, l'umiltà dei nomadi che si percepiscono piccoli nell'Universo e non si
dicono mai arrivati. “Vivere lo spazio e
il tempo da nomadi è un puro atto di umiltà” che porta alla gioia, ad una “interiore zampillante serenità”.
Mario Dellacqua
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